Su situazione economica e posti di lavoro, in questi giorni impazzano cifre e interpretazioni. L’Inps, l’Istat e l’Ocse, a vario titolo, hanno fotografato così la situazione in Italia: un inizio di ripresa, più timida che altrove, e un aumento dei contratti rispetto all’anno prima. Ma sulle cause, prudentemente, non si sbilanciano.
Effetto congiuntura? Decontribuzioni fiscali per i nuovi assunti? Jobs act? Una vera risposta ancora manca, anche se è necessaria.
Stando all’Inps, nei primi 9 mesi del 2015 sono stati attivati in Italia 1,7 milioni di nuovi contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni di contratti a termine). Scorparando 1,2 milioni di cessazioni, il saldo positivo è di 470 mila nuovi contratti, 370mila in più dello stesso periodo 2014. Tutto bene, quindi?
I numeri, da soli, non bastano a spiegare. Secondo gli analisti serve più tempo per uscire dall’ambiguità tra risultati veri, speranze e ideologia. Il governo si è però affrettato ad ascrivere al Jobs act – provvedimento fortemente voluto Renzi, con effetti incerti sull’occupazione ma conseguenze certe sui diritti dei lavoratori – i meriti di una ripresa dai contorni e dalle cause ancora così vaghi. Un azzardo spiegabile, visto che sul lavoro, come sulla riforma istituzionale e sulle tasse, Renzi gioca gran parte della sua traiettoria politica futura.
Le domande restano. I contratti cresciuti nel 2015 sono molti o pochi? Quanto ha pesato la decontribuzione e quanto il Jobs act? E di che lavoro stiamo parlando? Quanti contratti a tempo indeterminato sono semplice trasformazione di vecchi contratti? Questioni quanto mai delicate, visto che le norme sulla licenziabilità contenute nel Jobs act rendono ormai sempre più sfumato il concetto stesso di “tempo indeterminato”, e i nuovi assunti non sanno neppure dire se l’orizzonte del loro contratto guardi oltre i 3 anni della decontribuzione concessa.
Un Microfono aperto non fa statistica. Ma i racconti degli ascoltatori che in questo anno sono riusciti ad avere un contratto forniscono un primo quadro. Per averne un’idea vi consigliamo di ascoltare la trasmissione di oggi.
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Lavoro e Jobs act: buoni effetti o cattivi difetti?
Il Jobs act non guarda però soltanto alla flessibilità in entrata in nome della nuova occupazione, peraltro eventuale. Nel suo insieme contiene misure, ancora poco sondate, sull’uscita dal lavoro e sul modo di gestirlo, quando c’è. Dalla licenziabilità al demansionamento. Su questo fronte iniziano a intravedersi i primi risultati, e non sono promettenti. “Tra licenziabilità e demansionabilità, i lavoratori sono ormai delle pedine. Sostituibili” sostiene Domenico Tambasco, giurista avvocato del lavoro che è stato ospite del Microfono aperto.
Ascolta l’intervista a Domenico Tambasco