La distanza tra Madrid e Barcellona non era mai stata così profonda.
La sentenza del Tribunale Costituzionale Spagnolo era attesa e prevedibile, ma è comunque molto importante. Perché a questo punto la rottura tra la Catalogna e lo stato centrale è anche una rottura giuridica e costituzionale. Il potere giudiziario spagnolo dice che la risoluzione con la quale il parlamento catalano aveva dato il via al processo per arrivare alla secessione non ha alcun valore legale. Il governo di Barcellona risponde che andrà avanti per la sua strada, senza tenere conto delle decisioni delle istituzioni spagnole.
In Spagna il legame tra la magistratura e il potere esecutivo è piuttosto marcato, quindi la sentenza del Tribunale Costituzionale non stupisce. Accogliendo il ricorso del governo di valutare la costituzionalità della dichiarazione d’indipendenza, quella risoluzione è stata automaticamente sospesa per cinque mesi, entro i quali i giudici dovranno scrivere la loro sentenza definitiva. A questo punto ogni sviluppo è possibile.
Per la prima volta dall’inizio della crisi il governo catalano sta disconoscendo l’autorità del governo di Madrid e del Tribunale Costituzionale. La risoluzione sull’indipendenza approvata lunedì scorso dice che entro trenta giorni inizierà la discussione di proposte di legge per avviare un processo costituente, con l’obiettivo di arrivare in diciotto mesi alla dichiarazione della Repubblica di Catalogna.
In realtà il tribunale costituzionale non ha accolto in toto la richiesta del governo spagnolo. I giudici hanno avvisato i singoli protagonisti dello strappo catalano, a partire dal leader indipendentista Artur Mas, che se non rispetteranno la legge potrebbero essere considerati direttamente responsabili dei prossimi sviluppi, ma non hanno indicato, come voleva invece il primo ministro Mariano Rajoy, il reato di disobbedienza. A questo punto molto dipenderà dalle elezioni spagnole del 20 dicembre. Se il governo sarà ancora guidato dal Partito Popolare la rottura pare inevitabile. In caso contrario invece sarebbe possibile una trattativa in extremis per negoziare una maggiore autonomia della Catalogna.
Dall’esterno si tratta di una questione difficile da comprendere. Rajoy ha detto che si opporrà in tutti i modi al distacco della Catalogna in nome della democrazia. Ma in realtà questa è la grande contraddizione di questa vicenda. L’indipendentismo catalano, qualcosa di leggermente diverso dal nazionalismo catalano, è un fenomeno radicato nella storia ma che oggi si arricchisce di caratteristiche nuove, diventando qualcosa di diverso. Come abbiamo scritto lunedì scorso si tratta di un fenomeno progressista, risultato di anni d’incomprensioni tra Madrid e Barcellona e di una chiusura totale da parte dello stato centrale su possibili riforme.
Cinque anni fa gli indipendentisti facevano il 10% della società catalana, oggi siamo circa al 50%. E il motivo è proprio l’atteggiamento del governo spagnolo e dell’opinione pubblica spagnola. Il movimento è nato dal basso ed è stato solo gestito dalla classe politica. Ovviamente c’è anche la richiesta di una maggiore autonomia fiscale, ma non stiamo parlando dei ricchi (la Catalogna è una delle regioni più ricche del paese) che sono stufi di dare ai poveri. Nulla a che vedere con le classiche rivendicazioni della Lega in Italia.