“Pensano che io voglia fare l’attrice, ma io sono attratta dal lago, come un gabbiano.”
Una delle più celebri battute di Nina da “Gabbiano” di Anton Čechov potrebbe spiegare l’irrestibile tentazione di mettere in scena questo testo che Carmelo Rifici, regista svizzero-italiano cresciuto professionalmente accanto a Luca Ronconi, deve avere provato quando è diventato direttore artistico del LAC, il centro polifunzionale appena inaugurato sulla riva del lago di Lugano.
L’inconfondibile cadenza cechoviana, con gli arrivi forieri di turbamento, il montare dei conflitti, il climax notturno drammatico, la risoluzione e la sconfitta finali, è in “Gabbiano” funzione di un’ossessione per la rappresentazione che non sono solo i teatranti della vicenda a inseguire.
Tutti i personaggi vogliono essere altrove, a fare altro, con qualcun altro o senza. Il presente scorre in un alternanza di lucidità e vaneggi, senza che nessuno gli presti attenzione, tesi come sono tutti verso un futuro che mai si compirà, o inclini alla nostalgia per un passato che mai non fu.
Sullo sfondo, il lago. Scenografia per la sfortunata messinscena che Konstantin tenta di rappresentare e fondale della vita che giovani e vecchi conducono saltuariamente o perennemente sulle sue sponde.
“Non potrebbe essere che il lago e il teatro in Čechov siano la stessa cosa? Non potrebbe essere che sia la rappresentazione a spingere l’uomo verso il baratro e a impedirgli di spiccare il volo verso l’alto? Ma l’ossessione alla rappresentazione non è comunque un tentativo dell’uomo di sconfiggere la morte? Immaginarsi di essere altro da sé e dare corpo all’immaginazione, non è un modo per lasciare delle tracce nel mondo?” (dalle note di regia di Carmelo Rifici)
Ai microfoni di Cult, Carmelo Rifici racconta il suo “Gabbiano” sulle rive del lago e… del LAC.
Ascolta l’intervista a Carmelo Rifici