Nell’attacco contro una cittadina nel nord della Siria, lo scorso aprile, sono state usate sostanze chimiche. Lo dice un rapporto dell’Organizzazione per la Prevenzione delle Armi Chimiche. La cittadina è Khan Sheikhun. L’attacco fu il 4 aprile. Pochi giorni dopo gli americani bombardarono la base militare siriana dalla quale potrebbero essere partiti i caccia siriani responsabili di quell’azione.
L’Organizzazione per la Prevenzione delle Armi Chimiche non si è pronunciata – non era nel suo mandato – sulle possibili responsabilità, ma ha confermato che sulla cittadina di Khan Sheikhun sono piovute munizioni con sostanze chimiche, vietate dal diritto internazionale, nello specifico il sarin.
Secondo il rapporto gli agenti chimici sarebbero usciti da un cratere, formatosi dopo l’impatto di un grosso proiettile. Alcune sostanze sono state trovate anche nei campioni di sangue e urine prelevati dalle vittime. Ci furono più di 100 morti e oltre 300 persone contaminate. Il rapporto sembra coincidere con il racconto dei testimoni, secondo i quali il sarin fuoriuscì proprio da un razzo o da un grosso proiettile lanciato da un caccia dell’aviazione siriana la mattina del 4 aprile.
Il regime di Damasco e il suo alleato russo sostengono invece che le sostanze fuoriuscirono da un deposito di armi dell’opposizione, colpito dall’aviazione siriana. Resoconti giornalistici hanno negato la presenza di depositi di armi in quella zona. Un’ulteriore inchiesta delle Nazioni Unite dovrà ora stabilire chi fu il responsabile di quell’attacco.
L’uso di armi chimiche è una delle tante questioni controverse della guerra siriana. Nel 2013 un grosso attacco alla periferia di Damasco fece almeno 1.300 morti e portò alla consegna – probabilmente solo parziale – dell’arsenale chimico del regime. La questione è proprio questa, consegna parziale, perché negli anni successivi ci sono stati altri attacchi, mai indagati a fondo ma per i quali è molto difficile escludere responsabilità del governo di Assad.