Nel 2014 al-Baghdadi la scelse per auto-proclamarsi califfo, ma la moschea irachena di al-Nuri era importante anche per altre ragioni. Nelle scorse ore l’edificio di Mosul con più di 800 anni di storia è stato distrutto. L’Isis e la coalizione internazionale a guida americana si accusano a vicenda di averlo attaccato, devastando un patrimonio di grande valore. Andrea Monti ne ha parlato con Alessandro Pintucci, presidente della Confederazione Italiana Archeologi.
Quanto era importante questa moschea dal vostro punto di vista?
“Era tra le più antiche dell’Iraq e della Mesopotamia. Il suo minareto era famoso perché pendente: la leggenda voleva che lo fosse perché era passato da lì Maometto mentre ascendeva in cielo, quindi aveva anche un valore religioso particolare. C’era addirittura anche una tradizione cristiana, secondo cui il minareto pendeva in direzione della tomba di Maria. Parliamo di un pezzo di storia importante di quell’area, che era considerato un elemento classico del paesaggio”.
Jihadisti e americani si rimpallano la colpa di averlo distrutto.
“La moschea è chiaramente anche un simbolo politico. Il fatto che si cerchi di scaricare la responsabilità ci ricorda come i monumenti, l’archeologia, la storia siano elementi politicamente importanti nel presente, prima ancora che nel passato. Abbiamo visto con Palmira e con altre situazioni della guerra in Siria come questi elementi diventino un perno intorno a cui gira la propaganda da una parte e dall’altra, sia per quanto riguarda la loro devastazione sia per la loro ricostruzione”.
In sintesi qual è il patrimonio archeologico che abbiamo perso negli ultimi anni tra Siria e Iraq?
“Ancora non lo sappiamo. Su Palmira stessa non siamo in grado di definire precisamente i danni. Non si sa le mura di Ninive siano state distrutte e se lo siano state totalmente. Abbiamo perso decine e decine di monumenti di epoca islamica e mesopotamica. Il tutto è legato al loro valore di mercato. Se dico che Palmira è stata devastata e vendo un pezzo che viene da lì, potrò farlo a un prezzo molto più alto. In Medioriente stiamo assistendo a una distruzione funzionale all’innalzamento del costo dei reperti, usati per finanziare la guerra. Abbiamo perso una parte di patrimonio perché è stata demolita o perché è dispersa nel mercato, tendenzialmente in quello occidentale? È un problema che la comunità scientifica dovrà porsi a fine conflitto, per capire per quali canali sono passati questi elementi e dove sono finiti”.