“Papà vai avanti, mi dicono le mie tre figlie. Questo mi dà forza e coraggio, anche se devo vivere sotto scorta, con due auto blindate e la mia casa, la casa della mia famiglia, è presidiata dalle forze dell’ordine”.
Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, parla con noi a un anno dall’attentato di stampo mafioso che subì e dai cui si salvò per l’auto blindata e l’intervento dei poliziotti che lo proteggevano.“Mi sento un po’ un miracolato”, ci dice Antoci.
Era la notte tra il 17 e il 18 maggio. L’auto di Antoci procede nella zona del bosco di Miraglia, tra Cesarò e San Fratello, ma deve fermarsi per alcuni massi, posizionati apposta per ostruire la strada. Scatta l’agguato. Alcuni uomini iniziano a sparare con dei fucili contro il veicolo. Si scatena un duro conflitto a fuoco tra i poliziotti e gli aggressori che poi scappano, lasciando anche alcune molotov, che probabilmente servivano a incendiare l’auto di Antoci.
La Dda, direzione antimafia di Messina, in questi giorni ha inviato 14 avvisi di garanzia per tentato omicidio. Nell’agguato furono ritrovati ai bordi della strada delle molotov e diversi mozziconi di sigarette. I sospettati saranno sottoposti al test del Dna.
Tra le piste che seguono gli investigatori c’è quella della cosiddetta “mafia dei pascoli” che potrebbe aver reagito con le armi contro Antoci per i controlli messi in atto dallo Stato sul business dei finanziamenti pubblici europei per il settore agricolo, grazie al protocollo di legalità voluto dal presidente del Parco dei Nebrodi. Certo è che l’azione di Antoci ha dato fastidio a molti criminali.
“Abbiamo bloccato gli sporchi affari sui terreni demaniali sempre ottenuti dai mafiosi in concessione da amministratori corrotti o impauriti a 30 euro per ettaro – spiega Antoci – anziché tremila euro, per accaparrarsi dalla Ue fondi da 500mila euro cadauno per colture mai impiantate”. La posta in gioco per i gruppi criminali è alta.
L’Unione Europea, infatti, invia ingenti quantità di denaro per far sì che i terreni siciliani vengano utilizzati proprio allo scopo di far pascolare il bestiame e di incrementare la biodiversità. Il parco dei Nebrodi, con i suoi quasi 90mila metri quadrati è la più grossa riserva naturale protetta della Sicilia.
Presidente Antoci, come commenta questi avvisi di garanzia per l’attentato nei suoi confronti?
“Sono contento perché a un anno dall’attentato e con la mia vita blindata questa notizia mi dà la forza per continuare la mia battaglia per la legalità, e mi conferma che non si sbaglia a porre la massima fiducia nell’operato della polizia, della magistratura e della giustizia”.
Qual è la sua battaglia?
“E’ per la legalità, perché i fondi europei per i Nebrodi vadano alle persone per bene, ai giovani che vogliono aprire un’attività, agli agricoltori onesti, e non ai mafiosi”.
A un anno dall’attentato nei suoi confronti che riflessione fa?
“Io non potrò mai più essere come prima di quell’attentato. Non potrò esserlo più io, le mie figlie, mia moglie, e coloro che con me hanno vissuto quelle ore drammatiche, quando mi spararono”.
Perché?
“Perché si cambia, perché la vita diventa un’altra, perché le preoccupazioni, i sogni sono diversi e quindi diventi un’altra persona. Però poi quando io giro per le scuole, quando vedo tanti ragazzi, tanta gente per bene che credono nella legalità e non mi dicono ‘presidente vada avanti’, ma ‘presidente andiamo avanti’, allora mi rincuoro e dico: sì, forse sono cambiato, ma forse sono diventato un uomo migliore”.
A lei è stata rafforzata la scorta?
“Guardi, io ho un regime di protezione elevatissimo. Nel 2016 lo avevo minore, quando subii l’attentato e devo dire grazie alla mia scorta, che mi ha protetto, devo tutto a loro se sono ancora vivo. Da allora sono state rafforzate le protezioni nei miei confronti. Mi muovo con due macchine blindate, mentre le forze dell’ordine presidiano la mia abitazione”.
Tutto ciò cosa significa per lei?
“E’ una situazione che non auguro a nessuno, perché perdere la libertà è una cosa violenta”.
Ne vale, ne valeva la pena?
“Guardi quando io guardo questi ragazzi nelle scuole, quando giro l’Italia a parlare di legalità, e vedo persone a cui scendono le lacrime quando racconto la scelta delle mie figlie che mi dicono ‘papà vai avanti’, allora penso: sì, ne vale la pena, certo che ne vale la pena”.
L’intervista è di Piero Bosio