Mentre in Turchia continuano arresti ed epurazioni, si fa sempre più radicale la protesta di due docenti licenziati da Erdoğan.
Mercoledi 16 maggio ci sono stati 85 nuovi arresti nello staff di due ministeri, Educazione ed Energia. Solo pochi giorni prima, il 12 maggio, sono finiti in carcere 57 operatori di Borsa ed è stato spiccato mandato di cattura per altri 60.
Numeri e cadenze che danno l’idea di come la caccia ai responsabili del fallito golpe del 15 luglio, a distanza di quasi un anno, non si sia fermata e mantenga proporzioni spaventose. Come spaventoso è il numero di persone che sono state rimosse dal loro posto di lavoro, e continuano a esserlo, per i loro presunti legami con la rete di Fetullah Gulen o con organizzazioni definite terroristiche.
Fra di loro c’è chi ha dato il via a una protesta radicale: Nuriye Gülmen è una docente di letteratura, Semih Ozakca un maestro elementare. Sono stati sospesi da università e scuola. Sei mesi fa Nuriye ha iniziato ad andare in piazza ad Ankara tutti i giorni, reggendo uno striscione con scritto: “Rivoglio il mio lavoro”. In seguito Semih ha aderito alla sua protesta. Sono stati arrestati e rilasciati trenta volte. Settanta giorni fa la scelta di iniziare lo sciopero della fame.
Le immagini che documentano la loro battaglia passano dal ritrarli in mezzo alla gente con un megafono o un microfono, a mostrarli seduti, emaciati, indossando la mascherina per evitare infezioni. Le loro condizioni negli ultimi giorni si sono molto aggravate, i medici che li seguono riportano i primi sintomi di una sindrome da deperimento che porta alla morte nel 20 per cento dei casi.
L’attenzione su di loro si è intensificata, in tutto il Paese si stanno moltiplicando le iniziative di solidarietà e altri scioperi della fame sono stati indetti a Istanbul e altre città. Il principale partito di opposizione, il repubblicano CHP ha presentato un appello al presidente Erdoğan per il loro reintegro.
Al momento dal governo non una parola. La grande sofferenza a cui si stanno sottoponendo Nurye e Semih, il rischio concreto che la loro protesta finisca tragicamente, rappresenta il drammatico impatto delle epurazioni nel Paese: come loro 145mila persone hanno perso il loro lavoro: persone con famiglie, figli, una casa da pagare, responsabilità. Decine di migliaia di vite gettate in un limbo di disperazione, un Paese che fagocita i suoi cittadini.