La guerra produce morti e malattie. È il caso dello Yemen alle prese ormai da anni con un’aggressione dell’Arabia Saudita e ora con il colera: secondo la Croce Rossa i casi sospetti sono più di 8.500 e le vittime accertate tra il 27 aprile e il 13 maggio sono 115.
Le autorità di Sanaa hanno dichiarato lo stato di emergenza e chiesto aiuti internazionali. Roberto Scaini di Medici senza frontiere è stato nello Yemen da ottobre a fine aprile, nei mesi in cui è scoppiata l’epidemia di colera. Chawki Senouci lo ha intervistato a “Esteri”.
“Il colera è in un certo senso un’epidemia annunciata nello Yemen, perché di per sé è endemico nell’aria e ora ci sono tutte le condizioni che sono alla base della ripresa dell’epidemia stessa: l’acqua non viene più clorinata, le condizioni igieniche sono in declino precipitoso. E, anche per quanto riguarda la mortalità correlata all’epidemia, non ci stupiamo perché il sistema sanitario dello Yemen è al collasso per svariati motivi, sia perché le strutture sanitarie sono state in buona parte danneggiate dalla guerra, sia perché il sistema economico è crollato completamente, quindi non c’è più la possibilità da parte del governo di pagare gli stipendi. Se anche una struttura sanitaria fosse ancora funzionante, non ci sono più gli operatori sanitari pronti a intervenire. Nello Yemen di oggi ci sono tutte le condizioni biologiche e sociali a far sì che qualcosa di prevenibile e controllabile come il colera, di fatto, non lo sia più”.
Non ci sono nemmeno i farmaci?
“Faccio sempre l’esempio dell’insulina che di per sé è un farmaco abbastanza banale, anche come costi, ma che salva la vita. I farmaci fanno fatica a entrare in un Paese isolato dalla guerra e, se e quando ci sono, la popolazione non li può comprare per la crisi economica e la sanità pubblica non esiste. Il risultato è che di patologie anche banali si muore. La guerra non è da pensare solo come un diretto determinante di morte – non è più solo l’esplosione di una bomba o uno scontro armato – ma è proprio la mancanza di tutto quello che è basilare per la sopravvivenza. Nello Yemen si muore anche per la mancanza di un antibiotico, questa è la realtà”.
E’ possibile prevedere quanto può diffondersi l’epidemia?
“E’ difficile perché già una prima ondata epidemica nel Paese c’è stata a ottobre 2016, solo pochi mesi fa. E non è un caso, come abbiamo detto prima, che sia tornata fuori adesso. Le dimensioni possono essere preoccupanti nel prossimo futuro se pensiamo alla natura stessa della patologia – una malattia che si diffonde rapidamente – e al fatto che manchino le condizioni minime d’igiene. L’aggiunta di cloro nelle acque, che di solito è condizione sufficiente a sconfiggere l’epidemia, non c’è più. La stima sull’estensione dell’epidemia, ad oggi, è difficile da fare però possimo bene immaginare che le dimensioni possano diventare preoccupanti”.
In questa situazione i bambini sono particolarmente vulnerabili?
“In questi mesi abbiamo riaperto l’attività pediatrica in un ospedale che era stato bombardato perché, in tutte le latitudini e longitudini del mondo, i bambini sono una parte fragile della popolazione. Sono meno resistenti, per motivi biologici. A questi dobbiamo aggiungere tassi di malnutrizione che nello Yemen sono in aumento che indeboliscono ulteriormente il bambino. Consideriamo anche che molti di loro non hanno un riparo, perché le loro famiglie devono scappare da zone di conflitto e si rifugiano dove possono – grotte, tende – in condizioni climatiche a volte difficili. L’inverno appena passato si è caratterizzato per un fortissimo aumento delle malattie respiratorie e i bambini sono stati – e sono tuttora – particolarmente esposti”.