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Hindi Zahra: le canzoni sono come bambini

Il palco principale del Medimex giovedì sera ha ospitato una delle artisti internazionali più ispirate del momento. La franco-marocchina Hindi Zahra ha pubblicato quest’anno il suo secondo disco, Homeland: era partita dall’idea di dedicare questo lavoro alla riscoperta delle sue radici culturali e musicali marocchine. Così aveva deciso di lasciare la Franca, dove vive dai suoi 14 anni, per andare a comporre e registrare a Marrakech.

Dopo qualche settimana però Hindi Zahra ha iniziato a coltivare dei dubbi: troppa la voglia di lavorare anche seguendo altre influenze ed ispirazioni, raccolte grazie ai tre anni passati a suonare in giro per il mondo. E così è ripartita, fisicamente e con la musica, andando verso la Spagna, il Brasile, Capoverde. Il risultato è un disco variegato e ricco, capace di parlare in molte lingue e con molti linguaggi musicali differenti. Anche dal vivo la potenza della sua musica si è dimostrata immediatamente e il suo live ha rapito il pubblico di Bari dalla prima canzone all’ultima.

Poco prima che salisse sul palco, avevamo colto l’occasione per incontrare Hindi Zahra e rivolgerle qualche domanda.

Ti abbiamo incontrata a Milano poco dopo l’uscita del tuo bellissimo disco Homeland, e in quell’occasione avevamo parlato delle molte influenze che hai concentrato nelle canzoni dell’album. Oggi ci ritroviamo qui a Bari dopo qualche mese e vorrei chiederti se nella tua percezione di questo album è cambiato qualcosa, guardandolo ora con un po’ di distacco…

Non direi, anche perché in questo momento ci stiamo concentrando in modo particolare sui concerti, sul suonare queste canzoni sul palco, dal vivo. E facendolo le canzoni evolvono in continuazione: a me non interessa interpretare sempre nello stesso modo una canzone, voglio che crescano e cambino concerto dopo concerto. Questi pezzi hanno una loro storia durante la fase di registrazione, ma anche dopo, con il live. Chi vedrà il concerto si accorgerà di come abbiamo riarrangiato le canzoni per suonarle dal vivo e come siano anche cambiate con il tempo. Le canzoni sono come bambini, che devono crescere, con il tempo e con l’esperienza. Io faccio musica per me, ma anche e soprattutto per la gente, non voglio che vedano sempre lo stesso concerto. Ogni volta in cui verranno a sentirci vedranno questa evoluzione.

Però se le canzoni sono come bambini, possiamo dire anche che non tutti i bambini sono uguali. Ci sono quelli docili e ubbidienti, ma anche quelli scatenati e capricciosi. Come sono le tue canzoni?

Penso che sia con le canzoni che con i bambini, se ci comportiamo nel modo giusto, loro ci sorprenderanno e saranno soprattutto sorprese belle! E’ tutta una questione di amore con le canzoni, devi occuparti di loro, dedicarci tempo. Infatti credo che per me dare amore significhi soprattutto dare loro tempo. Ad esempio ieri stavamo parlando di cambiare il modo in cui suoniamo una delle nuove canzoni, “To the forces”. Poi però mi sono accorta che non avremmo avuto abbastanza tempo per farlo nel modo giusto, allora abbiamo messo da parte questa idea e la affronteremo appunto quando ci sarà più tempo.
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Tra il tuo disco d’esordio, Handmade, e il tuo secondo album, Homeland, sono passati circa cinque anni. E circa tre di questi anni li hai passati suonando in giro per il mondo. Questa volta cosa pensi che succederà? Vuoi stare ancora molto in tour o preferisci pensare di metterti presto al lavoro su un disco nuovo?

No, nessun disco nuovo! Voglio suonare! Quando ho fatto il mio primo disco è stato perché mi avevano detto che se volevo fare dei concerti, dovevo avere un album. E allora ne ho registrato uno, ma per poter suonare dal vivo. E poi la mia filosofia è di dare a ogni parte del mio lavoro il tempo giusto. Per fare un disco ci vogliono due anni. Per stare in tour, tre anni. Io mi muovo con il passo del cammello, con un ritmo molto lento, ma arrivo sempre a destinazione, anche se con il mio ritmo. Questo secondo me è anche il tru

  • Autore articolo
    Niccolò Vecchia
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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

    Gli speciali - 20-04-2025

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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