Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica non passano al secondo turno i due candidati del Partito socialista e della destra gollista. Gli elettori hanno confermato la crisi di rigetto nei confronti della politica ufficiale incarnata dagli ultimi due presidenti Sarkozy e Hollande, ma entrambi campioni dell’austerità. La loro sciagurata gestione di questi ultimi dieci anni ha permesso oggi a un candidato del Fronte Nazionale di superare per la prima volta la soglia del 20 per cento alle presidenziali.
Fino a tre anni fa Emmanuel Macron era un illustre sconosciuto. A meno di clamorose sorprese il 7 maggio sarà il nuovo inquilino dell’Eliseo. Eppure Macron, 39 anni, era la mente e l’esecutore delle riforme liberali di Hollande. Dotato di grande carisma, in meno di un anno ha saputo convincere i francesi della bontà del suo progetto, una sintesi di proposte di sinistra e di destra, e soprattutto è riuscito a prendere le distanze dal suo scopritore François Hollande.
Quello che ha fatto la differenza, alla luce del primo turno, è il suo discorso tenuto durante la campagna: profondamente repubblicano, europeista, pacificatore, in una Francia ferita dagli attentati, lacerata da derive xenofobe e identitarie, quindi rassicurante.
Non è poco in tempi di Brexit e di Trump e dei venti del populismo che soffiano sull’Europa.
Il 7 maggio in palio non c’è solo la presidenza della Repubblica francese ma la cultura politica che dominerà i prossimi anni in Europa: i ponti o i muri.