Due erano le incognite vere della consultazione in Costa d’Avorio: in primo luogo l’affluenza, che è stata ridotta, circa il 60 per cento rispetto all’80 per cento del 2010 – ma comunque tale da rendere legittimo il voto. In secondo luogo, la possibilità di incidenti e violenze, che non ci sono stati.
Dal punto di vista dell’esito delle urne, invece, le elezioni sono senza storia. I risultati arriveranno venerdì e vincerà il presidente uscente Alassane Ouattara, 73 anni, che, secondo costituizione, può fare un secondo mandato.
Un buon risultato se si pensa che i presidenti di mezza Africa sono impegnati in subdoli traffici per aggirare le costituzioni che vietano loro di restare al potere. Soprattutto, queste elezioni sono un successo perché traghettano definitivamente la Costa D’Avorio fuori da crisi e guerra civile che per dieci anni hanno travagliato la Costa d’Avorio.
Il Paese arriva a queste elezioni dopo cinque anni di relativa pace, anche se con forti contestazioni dei seguaci di Laurent Gbabo, presidente sotto accusa all’Aja per crimini contro l’umanità; gli uomini di Gbabo accusano la Francia di avere messo al potere con la forza un suo uomo.
E’ vero. La Francia è intervenuta militarmente, intenzionata a non perdere l’influenza su un Paese importantissimo nella regione e dalle grandi potenzialità; Ouattara era il suo uomo. E’ vero anche che Gbabo è stato al potere senza nessuna legittimazione per dieci anni e senza una elezione che lo abbia proclamato presidente (nell’ultima consultazione ha votato meno di un terzo degli aventi diritto).
Soprattutto, è vero che Gbabo era ormai nemico della Francia (che in passato lo ha comunque appoggiato) perché aveva intenzione di elargire contratti e appalti a imprese pubbliche e private cinesi e ad altre economie emergenti asiatiche.
Ha vinto la Francia: nei cinque anni di Ouattarà la grande impresa francese di costruzioni Bollorè ha vinto l’appalto per la costruzione del terzo ponte nella laguna di Abidjan; sempre Bollorè ha ottenuto i principali lavori per l’ammodernamento del porto della capitale economica del paese, e si potrebbe continuare nell’elenco.
Ouattarà in questi anni ha dimostrato ciò che rischia di essere il vero catalizzatore del suo consenso: ha lavorato, con buoni successi, per fare crescere l’economia e tentare una distribuzione della ricchezza. Secondo stime la crescita ivoriana è valutata intorno ad un formidabile 8,4% e il governo ha preso alcune decisioni importanti su alcune materie prime che il paese possiede e che potrebbero fare la sua ricchezza.
Per esempio il cacao: quest’anno circa 540mila tonnellate di fave di cacao verranno trasformate e l’obiettivo del governo è quello di arrivare al 50% del raccolto nel 2020. A marzo e a maggio sono state inaugurate due fabbriche di trasformazione del cacao e di produzione del cioccolato, una a San Pedro, nel sud-ovest del paese con il gruppo di Singapore Olam e una ad Abidjan con la cioccolateria francese Cemoi.
Gli ivoriani sono i più grandi produttori di cacao del mondo e non conoscono il cioccolato. Produrlo all’interno del Paese significa costruire fabbriche, dare lavoro, distribuire stipendi, creare potere d’acquisto, distribuire la ricchezza. Ouattara sta dimostrando di volerlo fare e la Francia, per ora, lo concede.