Si avvita a dismisura su se stessa la crisi politico-istituzionale in Venezuela dopo che il Tribunale supremo di Giustizia, controllato dal chavismo, ha esautorato tout court dalle sue prerogative il parlamento, dove invece è l’opposizione ad avere la maggioranza.
Il massimo organo del potere giudiziario imputa al parlamento il fatto di avere integrato (contro il suo parere) tre parlamentari del centrodestra, la cui elezione (nel dicembre 2015) era stata contestata. Tre parlamentari numericamente decisivi perché l’opposizione ottenesse la maggioranza assoluta dei due terzi dei seggi; dunque in grado di esigere elezioni presidenziali anticipate.
Non solo: il Tribunale supremo di Giustizia ha di fatto avocato a sé le funzioni stesse dell’Assemblea legislativa.
Insomma, è in corso un durissimo scontro fra i tre poteri dello Stato, con da una parte la magistratura e il potere esecutivo (impersonato dal presidente Nicolas Maduro) e dall’altra il potere legislativo, di fatto delegittimato.
Naturalmente è saltato anche ogni tentativo di dialogo fra le parti, da molti mesi mediato dal Vaticano e da vari ex capi di governo (come l’ex primo ministro spagnolo Zapatero).
L’opposizione al governo bolivariano ha subito ottenuto il sostegno del segretario generale dell’organizzazione degli Stati Americani, Luis Almagro, che ha minacciato a sua volta di sospendere il Venezuela dall’organizzazione stessa.
Mentre dal canto suo il presidente Maduro ha sollecitato “l’aiuto umanitario” delle Nazioni Unite per affrontare la drammatica crisi nell’approvvigionamento di medicinali nel Paese; da lui attribuita al boicottaggio economico dell’impresa privata che ha sostanzialmente paralizzato la produzione di numerosi generi di prima necessità (alimentari compresi).
In questo contesto, tutti gli attori in gioco, dentro e fuori del Venezuela, guardano all’atteggiamento delle forze armate: al momento leali, ma chissà fino a quando, all’erede dello scomparso Hugo Chavez.