Il carcere «è la cattedrale del dolore e della speranza». Solo papa Francesco poteva equiparare le mura di un penitenziario alle volte d’un duomo, le bolge di celle affollate da umanità negata in spregio a Costituzione e norme di civiltà alle navate d’un tempio, lo scalpiccio compresso d’un’ora d’aria all’ampio spazio e all’infinito tempo che una chiesa offre, la Porta Santa del centro delle cristianità alle pesanti sbarre che segnano il confine tra libertà e dannazione. Al mondo intero oltreché ai fedeli Bergoglio ricorda che abbiamo assoluto bisogno di simboli. Solo un pensare per immagini rende possibile unire San Pietro, Rebibbia, cuori di uomini e donne, trittico tenuto insieme da una straordinaria metafora di futuro: la porta. Se questa si chiude i cristiani tradiscono il vangelo, il governo tradisce la Costituzione su cui ha giurato, la gente ritiene nemici i migranti istigata a credere quegli sventurati causa d’ogni male mentre ingiustizie, disuguaglianze, povertà son frutto di cattiva, miope, gretta politica fatta di paure e sicurezza intesa come mettere in prigione e buttar via la chiave. La porta è realtà e simbolo d’una società che può guardare al futuro con speranza o regredire a forme arcaiche e tribali fondate su diffidenza, ostilità, autodifesa, eliminazione dell’altro. Si può aprire la Porta Santa d’una grande chiesa a donne e uomini che si riconoscono pellegrini, cioè stranieri a sé stessi, voglion rimediare alle loro ombre, chieder perdono per egoismi, disuguaglianze, violenze, sopraffazioni; si può varcare il portone d’un carcere per aiutare chi ha sbagliato a riscattare gli errori, cambiare vita (“Io non sono quello che ho fatto” recita uno slogan impresso sulla t-shirt dei giovani del carcere minorile di Nisida); ognuno di noi può andar controcorrente, compiere un gesto eticamente rivoluzionario in tempi di conformismi, assuefazioni, appartenenze identitarie: aprire la porta del suo cuore nei modi di cui è capace, sapendo che l’eco del gesto sarà udita lontano mille miglia, come dice un motto orientale, anche se non sarà compreso subito da chi è vicino; bello e buono non son popolari.
Siamo sulla soglia dell’”Anno della porta”: tale è il 2025. Tocca a noi. Tanti auguri!
2025, “Anno della porta”
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Autore articolo
Marco Garzonio