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“Lucano, fuorilegge per scelta umanitaria”

Domenico Lucano

Questa mattina il sindaco di Riace, Domenico Lucano, è stato arrestato e posto ai domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.

Riace è diventata nel corso degli anni un esempio in tutto il Mondo di integrazione e convivenza pacifica, proprio grazie al lavoro del sindaco che, come raccontava qualche settimana fa proprio a Radio Popolare, era ben consapevole che tutto sarebbe cambiato dopo l’arrivo di Matteo Salvini al governo:

Siamo una comunità di 600 persone, 300 cittadini riacesi e 300 cittadini immigrati. Si vive in una condizione di normalità e di rapporti umani. Le persone sono felici perchè sono protagoniste dello spazio, del territorio, vanno a scuola, lavorano nei laboratori multietnici, lavorano in cooperative miste. […] È stato come se qualcuno avesse voluto mettere un freno, come se il messaggio politico che questa storia porta con sé – c’è un riscatto connesso alla categoria degli ultimi in un territorio limite come la Locride – doveva essere offuscato, perchè attorno al teorema dell’immigrazione devono esserci come risultato problemi di ordine pubblico.

Abbiamo intervistato Tiziana Barillà, che conosce da anni Domenico Lucano e che ha raccontato il cosiddetto “modello Riace” nel suo libro “Mimì Capatosta. Mimmo Lucano e il modello Riace“.

Che idea ti sei fatta del modello Riace e perché è diventato così simbolico?

È qualcosa di estremamente normale quello che accade Riace e probabilmente in un’epoca molto anormale come la nostra esplode come qualcosa di molto pericoloso. La cosa che colpisce di quello che è successo stamattina, che poi è una conseguenza di quanto succede negli ultimi due anni, è che si può arrivare a parlare di un attacco politico, di un arresto che mette sotto accusa un modello, e un uomo che ha praticato questo modello, proprio perché in piena contraddizione con le politiche attuali che stanno prendendo tutt’altra direzione.
Quello che a Riace ha rappresentato per quindici o vent’anni qualcosa di apprezzabile, un esempio che abbiamo esportato in tante altre parti d’Europa e del Mondo, oggi diventa il pericolo numero uno perché dimostra che è il capro espiatorio di una certa politica che oggi è fatta potere costituito. In realtà si tratta di una comunità che vive in convivenza pacifica da quasi vent’anni. Riace stessa diventa così un capro espiatorio.

L’accusa in sostanza è quella di aver scavalcato le normative per fare questa attività. E qui si parla sia della gestione dei finanziamenti e di facilitare la possibilità per i migranti di stare lì. C’è un intercettazione di Lucano che parla dei documenti che devono fare ad una donna, perchè altrimenti non può rimanere in Italia. Lui dice “io la carta d’identità gliela faccio. Io sono un fuorilegge e mi assumo io la responsabilità di disattendere queste leggi balorde. Io vado contro la legge perché non è che serve molto, le serve solo la carta identità“. Dal punto di vista politico cosa dicono quelle frasi della figura di Lucano che tu hai conosciuto e conosci bene?

Quelle frasi sono state scelte benissimo. Quelle frasi dicono che noi siamo in un momento in cui la cosiddetta legalità formale ha preso delle distanze enormi rispetto a quella che è la giustizia sociale. Quando esattamente un anno fa arrivava l’avviso di garanzia, il sindaco ha rivendicato molte delle cose che gli erano state riferite come cose da contestare. Questa è disobbedienza civile. Noi veniamo da vent’anni di eccessivo uso di uso della legalità in termini assoluti, ma la legalità è qualcosa di molto delicato perché quando tu sei davanti a una legge ingiusta – come Mimmo dice in quella intercettazione e come abbiamo detto molte volte in tanti rispetto a leggi che riguardano i flussi migratori e l’accoglienza e che riguardano anche i cittadini in toto come il Jobs Act – tu devi reagire in qualche maniera. Il sindaco di Riace ha reagito secondo giustizia sociale. Lui utilizzava tempo un’espressione che era “prima vengono le persone, poi viene la burocrazia, poi vengono le carte, poi vengono i numeri. Se mi dicono di buttare in mezzo a una strada una madre con un bambino io non lo farò mai, disobbedirò a quella legge“.

Quindi quel passaggio rappresenta proprio lui.

Sì, è assolutamente lui. Però c’è un altro passaggio, vorrei leggerne solo una riga. “Il diffuso malcostume emerso nelle indagini non si è tradotto in alcuna delle ipotesi delittuose ipotizzate”.

L’arresto è avvenuto, quindi evidentemente un via libera c’è stato. La stessa Procura, però, nel suo comunicato, aggiunge proprio il passaggio che dicevi tu. C’è un punto che a me personalmente non è abbastanza chiaro: se il Gip stesso dice – e la Procura lo riporta nel suo comunicato – che il comportamento definito come malcostume non è un reato, io non riesco a capire perchè l’arresto sia stato deliberato dal Gip su richiesta della Procura.

Mimmo in diverse occasioni non ha fatto che ripetere questo e io quello che mi sento di fare è di farmi tramite delle sue parole. La sua preoccupazione è sempre stata soltanto una: che qualcuno potesse mai pensare che tutto quello che è stato fatto in questi vent’anni è stato fatto con uno scopo diverso da quello dell’ideale della giustizia sociale e della convivenza pacifica. L’unica cosa che mi sento di sottolineare è questa.

Domenico Lucano

RIASCOLTA L’INTERVISTA

intervista Tiziana Barillà

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    Alessandro Principe
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    “Di questa infamità vergognosa noi, spettatori spesso indifferenti, siamo del tutto colpevoli”. Sono le parole con cui Dario Fo, dieci anni fa, raccontò la storia di Ion Cazacu, ingegnere romeno immigrato in Italia per lavorare in nero come piastrellista a Gallarate. Ion Cazacu, il 14 marzo del 2000, 25 anni fa, fu cosparso di benzina e bruciato vivo dal suo datore di lavoro. Cosimo Iannece, il padrone, rispose così alle continue richieste di Cazacu di avere una paga dignitosa, un contratto regolare, per sè e per i suoi compagni di lavoro. Cazacu morì il 14 aprile 2000 dopo un mese di agonia per le ustioni gravissime che aveva su tutto il corpo. Iannece alla fine di tutto l’iter processuale fu condannato a 16 anni, dopo che in primo e secondo grado le condanne furono a 30 anni. Della storia di Ion Cazacu, dello sfruttamento schiavistico a cui fu sottoposto, si occuparono negli anni anche Franca Rame e Dario Fo. Florina Cazacu, figlia di Ion, è stata ospite di Pubblica, oggi. Insieme a Fo, Florina Cazacu ha scritto un libro che è anche un atto di denuncia contro lo sfruttamento, le violenze sul lavoro. Il libro si intitola: «Un uomo bruciato vivo. Storia di Ion Cazacu» (Chiarelettere 2015).

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