Migliaia di persone in tutta Italia stanno affollando le proiezioni pubbliche, autorizzate e non, del film che racconta le ultime ore di vita di Stefano Cucchi, “Sulla Mia Pelle“, distribuito in sala e su Netflix.
Questa enorme partecipazione viene vista da Ilaria Cucchi, che sta prendendo parte ad alcune delle proiezioni e che sarà anche a quella di Milano organizzata tra gli altri da Radio Popolare, come un grande segno di umanità in un periodo storico in cui in Italia sono sempre più diffusi il rancore e l’intolleranza e come un grande supporto alla battaglia che la famiglia Cucchi sta conducendo da anni affinché nessuno, nelle carceri italiane, muoia più come Stefano Cucchi, solo e ignorato da tutti.
Ogni volta che riguarda il film spero in un finale diverso, ma un finale diverso purtroppo non ci può essere. Stefano è morto ed è morto in quella maniera terribile. Quello che sta avvenendo in questi giorni e in queste ore è qualcosa di enorme, lo stringersi della gente normale che con una vicenda del genere fortunatamente non avrà mai nulla a che fare e che comunque ha voglia di stringersi intorno alla nostra famiglia e virtualmente intorno a Stefano.
Questo si contrappone anche alla maniera con cui Stefano è stato lasciato morire, letteralmente di dolore e da solo come un cane e probabilmente pensando che noi, la sua famiglia, l’avessimo abbandonato quando in realtà non era così. Questo film è estremamente vero, non ha una virgola in più rispetto a quello che è accaduto, anche perchè rispetto ai fatti non c’è nulla da aggiungere. È estremamente vero, estremamente attuale, ed è rigoroso e severo persino con Stefano.
Quello che colpisce in questa gemmazione di piazze per vedere insieme un film come quello che racconta la storia di Stefano, c’è quasi la rappresentazione di un senso identitario rispetto a quella storia e di un bisogno di ritrovare una comunità di visione nel guardare quella storia. In qualche modo ci è apparso quasi come una sorta di ricerca di antidoto rispetto al clima di rancore, di violenza e di intimidazione che a livelli diversi si registra quotidianamente anche nel dibattito pubblico. Tu che tipo di impressione hai avuto? Cosa ti ha restituito lo sguardo di quelle piazze e di tutta quella gente?
Esattamente quello che stai dicendo. Credo che le persone si sentono vicine a noi e questo lo percepisco con quelle piazze piene, così come con le persone che incontro per strada. In qualche maniera si rivedono in noi e nel senso di frustrazione che si ha di fronte ai soprusi che ciascuno di noi è costretto a subire nel suo vivere quotidiano. Quando dico che questo film è estremamente attuale è proprio per i motivi che stavi dicendo. Questo film racconta drammaticamente la morte di Stefano Cucchi, un essere umano morto in soli sei giorni nel disinteresse generale di tutti coloro che gli hanno ruotato intorno. Racconta la violazione dei diritti fondamentali della persona e, ahimè in un momento in cui si sta facendo passare il concetto che i diritti umani sono sacrificabili e che in qualche maniera il nostro benessere è legato alla violazione dei diritti di altre persone o di gruppi di altre persone, questo film fa veramente riflettere.
Credo che lo slogan che dovremmo usare è semplicemente questo: “Umanità, umanità, umanità“, perchè veramente se ne sente parlare troppo poco.
È uno slogan che si ritrova poi in una delle dichiarazioni che ha rilasciato Alessandro Borghi, l’attore che nel film interpreta Stefano, che ha detto “Quando vedo una foto con 2200 persone sul prato a vedere il film mi viene da piangere“.
Ci sono state reazioni diverse tra quelli che hanno fatto questo film rispetto a queste proiezioni. Il regista Cremonini diceva che vedere il film in piazza gratis non aiuta, questi film hanno bisogno di incassi affinché se ne possano fare di nuovi. Invece Andrea Occhipinti, il produttore della Lucky Red, oggi sul Fatto Quotidiano dice “Vabbè, la pirateria condivisa c’è sempre stata, certe volte si piratava Sky per vedere le partite, non cambia poi molto“. Tu come la pensi?
Io ci tengo a sottolineare, semmai ce ne fosse bisogno, che io da questo film non ho alcun ritorno economico. Il fatto che se ne parli per me è fondamentale per la nostra battaglia che stiamo portando avanti da anni, adesso anche con l’associazione Stefano Cucchi, che porta appunto il nome di mio fratello. Penso che se tante persone speravano, e continuano a sperare, che si smettesse di parlare del caso Cucchi, il fatto che si riempiano le piazze e che questo film sia visto in 190 Paesi nel Mondo grazie a Netflix, per me è un contributo enorme. Ma, ripeto, non è tanto un contributo alla nostra vicenda giudiziaria, che è finalmente in una fase di verità grazie al mio personale impegno e di coloro che mi sono stati vicino, ma è un contributo enorme per la battaglia di civiltà.
Tra le tante proiezioni che ci sono state, ce n’è stata anche una a Riccione, dove la Questura ha ritenuto di far piantonare la sala da parte di due poliziotti per tutto il tempo della proiezione e del dibattito. Ilaria Cucchi, stupida da quanto stava accadendo, ha chiesto al Questore di Rimini e al Ministro Salvini se fosse veramente necessario. Che tipo di risposta ti hanno dato? E ti hanno spiegato qual era il senso di portare lì due poliziotti per piantonare la proiezione?
Io sono stata chiamata dal Questore – mi ha fatto piacere e lo ringrazio – e mi ha spiegato che è prassi. Io personalmente vado spesso al cinema e non ho mai visto piantonare le sale. Devo dire che mi ha fatto un certo effetto, Stefano piantonato anche da morto. Che dire? Abbiamo altre priorità, il pericolo nella nostra società non è certamente un film vero proiettato nelle sale.
Radio Popolare, in collaborazione con il Festival dei Diritti Umani e anche con l’assessore Pierfrancesco Majorino in rappresentanza del Comune, sta organizzando una proiezione qui a Milano. Se ho ben capito hai accettato anche il nostro invito a partecipare, fisseremo presto anche la data. Prima dicevi che il film è severo anche con Stefano, a me ha colpito che sui titoli di coda sia stato scritto che quando è stata perquisita casa di Stefano è stata trovata della droga. Perché è stato scelto di scriverlo? Quando uno conclude la visione di quel film ha ben chiaro che non ha alcuna rilevanza se tuo fratello fosse o non fosse uno spacciatore.
Certo, questo è un po’ il senso di quello che stiamo portando avanti da un istante dopo la morte di Stefano. Noi non abbiamo mai risparmiato Stefano né da vivo né da morto, non abbiamo mai voluto fare di Stefano un santo e forse è proprio per questo, per la nostra credibilità, che stiamo andando avanti. Il problema non è chi era Stefano o cosa aveva fatto Stefano. È chiaro ed evidente che se Stefano aveva commesso degli errori doveva risponderne di fronte alla Giustizia. Il problema è quello che gli è stato fatto un istante dopo il suo fermo.
Quindi dici che lo hanno scritto perché non si pensasse che fosse un film agiografico o cose del genere?
Io personalmente non ho scritto nulla, è stata una scelta del regista. Io non ho avuto alcun ruolo in questo film. È una scelta che approvo assolutamente, proprio per questo dico che è un film vero. Questo non è il film per Ilaria Cucchi o per la famiglia Cucchi, né tantomeno è il film per Stefano Cucchi. È il film che racconta cosa è accaduto a Stefano e questo film deve necessariamente far riflettere tutti, anche coloro che lo criticano. Invito tutti ad andarlo a vedere.
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