Ai molti meriti che con scelte originali, novità assolute, concerti memorabili ha accumulato dalla sua nascita nel 1986, con la 33esima edizione che si è tenuta dal primo al 9 settembre “Ai confini tra Sardegna e jazz” non ha mancato di aggiungerne altri.
Uno è certamente la prima per l’Italia del quartetto del pianista Alexander Hawkins e della cantante Elaine Mitchener, che a Sant’Anna Arresi era lei stessa alla suo esordio italiano, se si eccettua una performance alla Biennale d’arte di Venezia alcuni anni fa.
Alexander Hawkins (trentasette anni, vive a Oxford) è una delle figure più brillanti espresse dalle ultime generazioni del jazz europeo. Hawkins ha metabolizzato in maniera originale diverse influenze, da un pianista il cui stile sta alla base del pianismo jazz come Earl Hines, a Duke Ellington, ad Art Tatum, eccetera, fino all’avanguardia di Cecil Taylor.
Si esibisce in solo (e in solo sta per incidere un album per l’etichetta Intakt) e alla guida di propri gruppi, come il quartetto ascoltato a Sant’Anna Arresi (di cui per la Intakt è recentemente uscito l’album UpRoot) e il suo organ trio, ma per il suo livello, la sua versatilità e la sua capacità di immedesimazione in contesti diversi è molto richiesto da altri leader: basti ricordare che collabora spesso con il sassofonista Evan Parker, uno dei capiscuola dell’improvvisazione radicale, è da anni il pianista del quartetto/quintetto del batterista sudafricano Louis Moholo, fa parte della band europea del padre dell’ethio jazz Mulatu Astatke.
Elaine Mitchener è attiva nell’ambito dell’improvvisazione radicale britannica, ma anche in territori non jazzistici, fra l’altro come interprete di musiche di compositori dell’avanguardia americana eterodossa come Alvin Lucier, Ben Patterson, Christian Marclay. Il suo lavoro artistico comprende anche il movimento e la danza. Lo scorso anno ha presentato con successo a Londra e in altre città inglesi Sweeth Tooth, un suo lavoro di teatro musicale, in cui riflette sulle sue origini giamaicane evocando la sorte dei suoi antenati, schiavi provenienti dall’Africa impiegati nell’industria dello zucchero.
Nel 2019 Elaine Mitchener proporrà a Londra, con un gruppo comprendente Hawkins al pianoforte, un omaggio a Jeanne Lee (1939-2000), dagli anni sessanta la più importante vocalist dell’avanguardia jazzistica. E ascoltandola nel corso dell’esibizione a Sant’Anna Arresi era impossibile non pensare appunto all’indimenticata Jeanne Lee: la vocalità della Mitchener si muove nella prospettiva indicata da Jeanne Lee, che facendo a sua volta tesoro della lezione di Abbey Lincoln, battistrada nel forzare il canto jazzistico in direzioni non ortodosse, aveva aperto la vocalità jazzistica al grido, al sospiro, al gemito, al riso, al parlato… Ma di Jeanne Lee in Elaine Mitchener non c’è solo una vocalità che oltre che canto in senso convenzionale è anche espressione a tutto campo, ma c’è anche l’intensità e il magnetismo, come si è potuto cogliere in un set estremamente pensato, calibrato, in cui il contrabbasso di Neil Charles e la batteria di Stephen Davis sono apparsi estremamente creativi e rilevanti per la qualità dell’insieme.
Con la sua voce calda, di elegante limpidezza, dotata di una bella estensione, Elaine Mitchener ha proposto, evitando con una versione decisamente diversa qualsiasi ricalco, Blasé, interpretato da Jeanne Lee nell’omonimo album del ’69 di Archie Shepp; ma anche un brano di un’altra importante esponente della vocalità di ricerca emersa negli anni sessanta, Patty Waters; e in un altro brano ha corredato la musica di Hawkins con una poesia di Cecil Taylor.
Qui la registrazione del set del quartetto di Alexander Hawkins e Elaine Mitchener:
Hawkins, che si è esibito anche con il quartetto Chicago London Underground (con Rob Mazurek alla cornetta, John Edwards al contrabbasso e Chad Taylor alla batteria), con uno splendido solo è stato anche protagonista del secondo appuntamento sulla spiaggia di Is Solinas.
Nel set, che il pianista ha introdotto ricordando che bisogna pensare anche a chi sta dall’altra parte del mare, una originale interpretazione di Take The A Train, la sigla di Ellington, molti momenti che rivelavano l’amore di Hawkins per il pianismo del jazz classico, poi una sequenza molto ritmica, martellante, e un brano di impronta minimalista. E, come bis, Bach.
Qui un momento dell’esibizione di Hawkins: