Per una volta siamo primi in Europa.
Da oggi l’Italia è il primo Paese a recepire la direttiva europea 853/2017, una direttiva pensata in chiave antiterrorismo che il governo usa per allargare le maglie del possesso di armi.
L’iter di recepimento della direttiva era già iniziato col governo Gentiloni-Minniti, ma Salvini ne ha sfruttato ogni appiglio per mettere in circolazione un numero di armi maggiore. Un atto frutto del “patto di sangue” firmato da Salvini con la lobby delle industrie armiere a luglio all’Hit Show di Vicenza, la fiera di settore dove il ministro ha promesso anche altri passi: non solo la già annunciata legge che allarga la legittima difesa, ma anche la revisione dei criteri di accesso al porto d’armi.
Perché la direttiva non muta i criteri di accesso alla licenza – già piuttosto laschi in verità: basta essere incensurati, non essere tossicodipendenti o alcolisti cronici, non soffrire di turbe mentali o psichiche e fare un corso di una mezza giornata – ma aumenta la possibilità per i detentori di licenza di avere più armi.
I punti chiave: aumento da 6 a 12 delle armi sportive detenibili, autorizzazione ai tiratori sportivi di detenere armi catalogate come “tipo guerra”, denuncia alle autorità delle nuove armi tramite un apposito portale, e paradossalmente anche un criterio più restrittivo: la riduzione della durata della licenza da 6 a 5 anni.
C’è poi un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi: cade l’obbligo di avvisare i propri conviventi del possesso di armi. Un bel problema in un Paese dove l’unico reato in forte aumento sono i femminicidi tra le mura domestiche.
“Quando siamo stati chiamati a dare il nostro parere in commissione abbiamo chiesto in tutti i modi di tenere una forma di obbligo. Inizialmente era anche previsto, ma poi è stato tolto” spiega Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e di Difesa.
Il problema storico dell’Italia è che il Ministero dell’Interno non fornisce dati sulle armi effettivamente in circolazione. Le stime più accreditate parlano di un numero tra i 4 e i 10 milioni, in mano a circa 1 milione di detentori di porto d’armi. Un giro d’affari di 100 milioni di euro per i 1.300 punti vendita al dettaglio di armi e munizioni destinato ad aumentare, perchè l’Italia ha voglia di armarsi.
Secondo un report della commissione europea di 4 anni fa, il più recente di questo tipo, il 14% di chi ha un’arma da fuoco dichiara di averla per difesa personale. Ma forse è un dato sottostimato, perchè qui iniziano i problemi: secondo i dati elaborati dalla Polizia di Stato negli ultimi due anni, le richieste di licenza per difesa personale sono diminuite del 4,7%, ma sono aumentate complessivamente del 30,8% le licenze per il tiro sportivo e per la caccia. Questo si traduce in 200mila persone in più che si iscrivono ai poligoni.
La spiegazione del perchè è piuttosto facile: avere una licenza per uso sportivo è molto più semplice, a prescindere dall’uso effettivo che poi se ne farà. Spiega infatti a Panorama Marco Tiberi, ex poliziotto e istruttore di tiro al Poligono nazionale di Cecina, che negli ultimi 24 mesi c’è stato un progressivo e costante aumento di persone che si sono iscritte al poligono di tiro con la licenza sportiva. Il 90% sono di uomini che hanno un’età superiore ai 35 anni e appartengono per lo più al ceto medio. Ma solo il 20% si iscrive alle gare e inizia un percorso agonistico.
Dunque, perchè lo fanno?
Un altro istruttore, il carabiniere Antonino Troia, lo spiega a l’Espresso in modo ancora più esplicito: “In Italia c’è un bisogno crescente di sicurezza, di sentirsi protetti nella propria abitazione o per strada. Un bisogno primario, legato all’esigenza di sopravvivere di fronte a una minaccia incombente, grave e attuale per la vita“.
Questo, lo aggiungiamo noi, nonostante tutti gli indicatori dicano chiaramente che i reati sono in calo. Questo autunno arriverà in aula il tema della legittima difesa (la riforma dell’articolo 52 del codice penale) che avrà come fulcro centrale l’intervento sulla proporzionalità tra difesa/offesa. “Si costruisce il bisogno di sicurezza e poi si danno risposte come questa”, dice ancora Biatta.
Il governo si appresta dunque a mettere in circolo più armi e a renderne l’uso più facile in un Paese colmo di rancore ed incattivito verso i più deboli.
Una prospettiva che preoccupa anche chi le armi le maneggia per lavoro. Daniele Tissone è un poliziotto con tanti anni di esperienza ed è anche il segretario del sindacato di polizia della Cgil:
“Siamo davvero preoccupati. Siamo già il primo Paese in cui gli omicidi vengono commessi con armi da fuoco legalmente detenute, escludendo gli Stati Uniti. I poligoni possono anche insegnare a sparare, ma non potranno mai insegnare quando è davvero necessario usare un’arma e come usarla in una situazione di pressione. Non sarà un deterrente per ridurre i reati, anzi, rischiamo un’escalation di scontri a fuoco”.