Una porzione del viadotto Polcevera dell’autostrada A10 che collega i quartieri genovesi di Sampierdarena e Cornigliano è crollata questa mattina, intorno alle 11.30, mentre decine di automobili e almeno tre mezzi pesanti erano in transito. Una tragedia i cui numeri sono ancora provvisori, ma forse anche una tragedia che si sarebbe potuta evitare.
Il forse è d’obbligo, perchè se è vero che la struttura era risultata problematica fin dai primi anni dopo la sua costruzione – un intervento massiccio di ristrutturazione si era reso necessario appena negli anni ’80, poco più di 20 anni dopo il completamento dell’opera – è altrettanto vero che finché non si conosceranno le cause del crollo sarà impossibile determinare le eventuali responsabilità.
Oggi abbiamo intervistato l’ingegnere Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, che già nel 2016 aveva espresso pubblicamente dubbi circa la stabilità del cosiddetto Ponte Morandi e la sua durabilità, visti anche gli esempi di ponti simili progettati dall’ingegnere Riccardo Morandi in Libia e Venezuela.
Due ore fa abbiamo fatto sentire a Radio Popolare una sua vecchia intervista del 2016 a PrimoCanale in cui usava la parola “corrosione” rispetto alla struttura di Ponte Morandi e non dava un giudizio positivo sul modo in cui è stato costruito.
Quell’intervista, che ricordo bene, non si riferiva a questo specifico ponte, ma a quella tipologia di ponti – quello di Genova è uno dei tre ponti costruiti in quel modo, tutti progettati da Riccardo Morandi – che si è rivelata fallimentare.
Sono Genova, Catanzaro e Agrigento se non erro.
No, Morandi ha progettati molti ponti, ma ponti di questo tipo sono stati fatti il primo sulla baia di Maracaibo, in Venezuela, il secondo a Wadi al-Kuf, in Libia e il terzo è questo qua.
Quali sono le criticità strutturali che lei citava?
Sono tutti ponti che hanno manifestato un degrado particolarmente veloce e particolarmente precoce. Prima che il Venezuela sprofondasse nella crisi attuale si discuteva se demolire il ponte di Maracaibo per un eccesso dei costi di manutenzione. Dopodichè il ponte di Genova a metà degli anni ’80 – dopo appena 20 anni di vita, che per un ponte sono pochissimi – aveva richiesto dei lavori di manutenzione straordinari molto ampi sulla torre est (quella che è crollata è la torre ovest), avevano addirittura dovuto sostituire gli stralli esterni e infatti è una cosa che si vede. Io non so come lo hanno fatto, ma do solo un’interpretazione tecnica di quello che si vede guardando il ponte. Un intervento di questa rilevanza dopo 20 anni di vita di un ponte denota un ponte fortemente esposto a fenomeni di corrosione.
Questo da cosa dipende?
Dipende dalla tecnologia che è stata utilizzata. È un ponte che diversi stati precompressi con una tecnologia particolare che oggi si tende a non utilizzare più. E in quel caso specifico Morandi aveva voluto utilizzare un suo brevetto, M5, che evidentemente ha lasciato una incompleta iniezione delle guaine, cioè le opere che dovevano servire a garantire la durabilità del ponte non hanno avuto l’effetto che si sperava. Per questo questi ponti manifestano un degrado particolarmente veloce e particolarmente anticipato.
A quanto pare era dal 1990 che il ponte veniva sottoposto a costante manutenzione. È indice di questo degrado continuo?
Esattamente. Questa continua manutenzione dimostra peraltro che il ponte era tenuto sotto controllo ed era oggetto di investimenti.
Come si fa a far transitare quel grande flusso di auto e di camion su un ponte in continua manutenzione e con quelle criticità?
Un ponte soggetto a degrado non è necessariamente un ponte pericoloso. La manutenzione non necessariamente richiede la chiusura di un ponte. Noi ne stiamo parlando col senno del poi e questo è un punto di vista più facile e deformato, perchè le cose sono chiare. La situazione di per sé dimostra che c’è attenzione al ponte, non significa che doveva essere chiuso al traffico. Se ci sono le condizioni di sicurezza, il traffico può passare. Col senno di poi quelle condizioni di sicurezza non c’erano. Ma la domanda è un’altra: era possibile accorgersene? Io so che questo ponte era monitorato in continuazione, venivano investite cifre cospicue per controllarlo e per controllarne il degrado, erano coinvolte strutture di prim’ordine con colleghi del Politecnico di Milano e la SPEA, la società di progettazione delle autostrade che è una struttura di assoluto rilievo. I dettagli di cosa sia successo non li conosco, ma mi chiedo se fosse possibile accorgersi del pericolo. Non è detto che si potesse capire. Nei ponti come questi la corrosione avviene nei cavi di precompressione, che non sono elementi del ponte che rimangono in vista, sono affogati all’interno della massa di calcestruzzo. Si può indagare con delle indagini tecniche, che hanno però dei margini di errore e hanno dei limiti. Il mio discorso è assolutamente generale, ma su un caso di questa difficoltà so che c’è un grosso margine di incertezza. Non darei per scontato che ci sia una responsabilità diretta, ma potrebbe anche emergere che il problema era al di là dei limiti tecnici.
RIASCOLTA L’INTERVISTA
Il parere dell’ingegnere Antonio Brencich nel 2016
Negli anni 90, molti genovesi se lo ricordano, il ponte ebbe una quantità di lavori enorme. Gli stralli di una campata sono stati affiancati da nuovi cavi di acciaio. Io non lo prenderei come un campanello d’allarme, ma è indice che hanno rilevato una corrosione molto più veloce di quella ipotizzata e hanno dovuto integrare la struttura originale per impedire che insorgessero delle condizioni di pericolo. Non vorrei far passare il messaggio che ci sia un pericolo imminente. Se dopo 30 anni dalla costruzione si devono sostituire integralmente degli elementi strutturali, vuol dire che è un ponte sbagliato. Un ponte non deve durare centinaia di anni, ne deve durare 70-80-100 anni senza manutenzione di questo tipo. Abbiamo dei ponti in muratura che hanno 150-200 anni e nessuno li ha mai toccati.