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Catalogna, e adesso?

Le elezioni di ieri dovevano fotografare la società catalana, la proiezione politico-elettorale della società catalana. Con una partecipazione sopra l’80% possiamo dire che lo abbiano fatto. Qual è la fotografia?

Sostanzialmente quella che già avevamo. Se consideriamo i due blocchi, indipendentisti e costituzionalisti-unionisti, gli equilibri non sono cambiati. Gli indipendentisti hanno vinto, hanno mantenuto la maggioranza, maggioranza sempre risicata e con un paio di seggi in meno, ma sempre maggioranza.

La grande novità in realtà è nel blocco unionista, dove ha stravinto Ciudadanos, un partito di destra nato una decina di anni fa proprio qua in Catalogna in chiave anti-nazionalista. Ciudadanos è stato il partito più votato, anche lui ha vinto queste elezioni, ed è l’espressione della radicalizzazione del fronte unionista. Nei mesi scorsi molti catalani contrari all’indipendenza sostenevano che il governo spagnolo (che nel parlamento di Madrid Ciudadanos appoggiano dall’esterno) non avesse preso una posizione sufficientemente dura. La vittoria di Ciudadanos quindi è un ulteriore problema per il Partito Popolare di Mariano Rajoy al governo a Madrid, che è quasi scomparso dalla mappa elettorale catalana.

Si può governare la Spagna con una presenza quasi nulla in Catalogna? La logica suggerirebbe di no.

Adesso la grande incognita. Cosa succederà nei prossimi mesi? Queste elezioni erano importanti, ma non decisive. Lo sapevamo. Il rischio, e il risultato di ieri lo conferma, è che rimanga tutto come prima. I partiti indipendentisti sono nella condizione di formare un governo. Non solo, per la suddivisione di voti e di seggi, il presidente naturale sarebbe ancora Carles Puigdemont, in esilio a Bruxelles e a rischio arresto se dovesse tornare a Barcellona.

Questo non era un referendum sull’indipendenza, ma alcuni dati sono utili anche in quella prospettiva. Gli indipendentisti hanno il 47,4%, ma con l’alta partecipazione hanno raggiunto il loro record per numero di voti. Gli unionisti hanno poco più del 43%. In mezzo c’è una coalizione di partiti, Catalunya en Comú, che comprende anche Podem la versione catalana di Podemos, da sempre favorevole a un referendum e diversi suoi elettori anche alla secessione. E se si escludono gli elettori di Ciudadanos, ci sono diverse richieste di cambiamento anche all’interno del fronte unionista, per esempio tra i simpatizzanti del Partito Socialista Catalano.

Per concludere. Politicamente questi numeri non sono sufficienti per spingere un’altra volta, nel breve periodo, verso l’indipendenza unilaterale. Ma dicono due cose molto chiare. La prima, il governo spagnolo deve ridare l’autonomia alla Catalogna e ritirare il famoso articolo 155. La seconda, Mariano Rajoy dovrebbe accettare di dialogare e di trattare su qualcosa. Non sull’indipendenza ma su una modifica dello status quo. Lo farà? Con la pressione da destra degli oltranzisti di Ciudadanos, un partito ormai radicato in tutta la Spagna, è quasi impossibile.

Anche qui, come in tutta Europa, ci sarebbe bisogno di statisti di spessore, in grado di guardare al futuro, al lungo periodo, non ai calcoli elettorali del giorno dopo. Ma purtroppo non sembra essere il caso spagnolo.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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