Caccia sauditi hanno compiuto un raid aereo su Sanaa, capitale dello Yemen, causando almeno 42 morti secondo fonti ufficiali e forse oltre 60, secondo quelle ospedaliere.
Dello Yemen non si deve parlare. E’ il diktat del governo saudita, che vieta ai giornalisti internazionali di entrare in Yemen, anche se in possesso di visti regolari forniti dal governo legittimo. Ci si deve accontentare delle notizie di parte fornite dai due campi in conflitto e dalle testimonianze delle agenzie e Ong internazionali che molte volte, per discrezione, per poter continuare indisturbate le loro attività umanitarie e per salvaguardia del proprio personale in loco, non forniscono le informazioni in tempo reale. Sappiamo poco di quel che succede tutti i giorni nello Yemen, cioè della guerra atroce che miete vite umane e prevalentemente civili.
A questa censura premeditata da un regime dittatoriale amico dell’Occidente, si aggiunge l’interesse delle industrie produttrici di armi, a partire da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia.
Anche la guerriglia Houthi e i suoi alleati, fedeli all’ex presidente Saleh, in materia di censura non scherzano. Un blogger yemenita di Sanaa, Hisham Al Omeisi, 38 anni, è stato arrestato lo scorso 14 agosto perché impegnato a diffondere notizie della guerra civile. Al Omeisi è un attivista che ha fatto conoscere, tramite i social network, la rivolta di Sanaa, del 2011, che ha portato alla deposizione di Saleh.
Bisogna leggere alla luce di questi dati gli effetti dell’ultimo bombardamento compiuto dai caccia sauditi nei cieli di Sanaa, capitale dello Yemen, occupata dal 2014 dai guerriglieri sciiti Houthi. I comunicati militari parlano di un attacco contro obbiettivi militari dei miliziani. Probabilmente è una mezza verità che vale per una bugia intera. Tra le vittime ci sono sei miliziani houthi e almeno 36 lavoratori agricoli che stavano in una residenza o hotel, una palazzina di due piani, nella località di Arhab, subborgo a nord della capitale: la palazzina è stata completamente rasa al suolo.
Le immagini mandate in onda dalla TV degli Houthi, Al Massera, sono eloquenti: detriti e fiamme sono quel che i soccorritori si sono trovati di fronte. Fonti ospedaliere ascoltate da giornalisti yemeniti hanno parlato, sotto anonimato, di un numero più alto di vittime, forse 60 morti, da aggiungersi ai feriti.
Questo non è stato un attacco episodico. E’ da domenica 20 agosto che l’aeronautica militare della coalizione araba a guida saudita sorvola a bassa quota la capitale yemenita, anche per operazioni di supervisione in preparazione dell’attacco terrestre che l’esercito governativo ed i suoi alleati arabi promettono da tempo di compiere per liberare Sanaa. Nella giornata di martedì 22 un altro bombardamento nella provincia di Taez ha provocato 16 morti. “Nel 2017 il numero dei raid aerei al mese — ha relazionato al Consiglio di Sicurezza, Stephen O’Brien, segretario generale aggiunto dell’Onu per gli Affari umanitari — è stato tre volte superiore al 2016 e sono raddoppiati gli scontri sul terreno”.
A queste vittime dei bombardamenti, si aggiungono quelle dei martellamenti di artiglieria compiuti dai guerriglieri houthi contro le zone sotto il controllo governativo e gli attentati dinamitardi messe a segno dai qaedisti, che hanno preso di mira soprattutto il capoluogo meridionale di Aden, dove ha sede il governo del presidente Hadi, ultimo capo di Stato eletto ma di fatto esautoriato dai Houthi e dai seguaci dell’ex presidente, Saleh.
Una guerra per procura dove dietro i protagonisti locali si presentano Arabia Saudita e Iran, in lotta tra di loro per l’egemonia nella regione del Vicino Oriente e nel Golfo. In Yemen, Teheran è presente, oltre alle forniture di armamenti agli Houthi, anche con consiglieri e addestratori militari.
Il più povero Paese del mondo è stato ridotto in campo di battaglia, provocando fame e malattie e almeno due milioni di sfollati. Un rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza che ha affrontato la questione yemenita il 18 agosto, parla di una tragedia umanitaria. Oltre alle migliaia di persone morte sotto le bombe, il Paese è stato colpito dalla peggiore epidemia di colera: 530mila casi sospetti e duemila morti. Ci sono almeno due milioni di persone che rischiano la morte per fame.
Oltre a questo dramma della guerra, chi tenta la fuga dal Paese si trova preda dei trafficanti di esseri umani, con tutti i conseguenti drammi dei naufragi. Secondo il rapporto Onu, la cifra complessiva chiesta ai Paesi membri Onu per far fronte alle difficoltà dei civili yemeniti è di 2,3 miliardi di dollari, ma di essi ne sono stati raccolti finora soltanto il 40 per cento.
L’Onu non è riuscita a presentare un piano di negoziato credibile alle parti e le interferenze USA a sostegno di Riad, hanno fatto fallire tutte le altre mediazioni. L’inviato speciale dell’Onu in Yemen, Ismail Oueld Sceikh Ahmed, ha in pratica un ruolo assolutamente marginale e non ha ottenuto ascolto né dalle parti locali né da quelle regionali e men che meno dalle diplomazie internazionali. Le sue mediazioni sono state scippate più di una volta dall’interferenza di altri mediatori, come avvenne nel 2016 con le proposte avanzate dal Kuwait. Dopo il fallimento dei negoziati di Kuwait City nell’aprile 2016, anche il dialogo avviato lo scorso maggio per iniziativa di Sciekh Ahmed si è bruscamente interrotto.