Sono passati 25 anni dalla firma del Trattato di Maastricht.
Il 7 febbraio del 1992, i dodici paesi membri della Comunità europea firmarono il trattato costitutivo dell’Unione europea.
Furono poste le basi di un processo che nel 1999 portò alla moneta unica e dal primo gennaio 2002 all’euro come moneta circolante di quasi tutti i paesi dell’unione.
Sullo sfondo di quel trattato restò l’obiettivo dell’unità politica dell’Europa. Un traguardo senza precedenti per quegli stati-nazione che nel ‘900 si erano combattuti in due guerre mondiali facendo milioni di morti.
Venticinque anni dopo, l’Europa di Maastricht è nel pieno di una crisi politica e istituzionale. «Siamo di fronte ad un doppio attacco coordinato: dall’estero e dall’interno», ha detto ieri Romano Prodi in un’intervista. «Trump e Le Pen sono i due volti dello stesso pericolo», ha sostenuto l’ex presidente della Commissione europea.
Austerità e recessione, ridimensionamento del welfare e disuguaglianze. Sono le politiche di questi ultimi anni con i loro effetti disastrosi.
E’ il neoliberismo europeo costruito sull’architettura di Maastricht. Quella dei parametri del 1992 (3% deficit-pil, 60% debito-pil, etc.) a cui si sono aggiunte una serie di strette successive sulle politiche di bilancio, dai nomi per lo più oscuri: “two packs”, “six packs”, “semestre europeo”.
Come si può salvare l’Europa da “Maastricht”? Come si contrasta il nazionalismo di Le Pen e della destra “sovranista” europea? A cosa punta l’Europa delle due velocità di Angela Merkel?
Sono alcune delle domande che Memos ha girato ai suoi ospiti di oggi: Pier Virgilio Dastoli, presidente del consiglio italiano del Movimento Europeo, è stato assistente parlamentare di Altiero Spinelli per dieci anni, tra il 1977 e il 1986; e Alessandro Somma, giornalista e professore di diritto comparato all’università di Ferrara.
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