Proprio nel giorno in cui è scomparso Dario Fo – un altro premio Nobel per la letteratura che aveva fatto discutere – arriva il Nobel a Bob Dylan. Un premio che forse chiude per sempre la diatriba se le liriche di Mr Zimmerman siano da considerarsi poesia o solo canzoni. In effetti tra i suoi autori di riferimento, oltre a musicisti come Woody Guthrie, troviamo numerosi poeti: da Rimbaud a T.S.Elliott, passando da tutta la scuola della Beat Generation.
Inevitabile quindi che le sue canzoni siano delle poesie, anche se non appartengono allo stesso genere di quelle composte da Montale. Quello che è certo è che in lui si uniscono l’arte della parola, quella della musica e della voce, oltre a quella della perfomance.
E’ un grande narratore e ha inventato storie e un modo di raccontarle in canzone. La ballata narrativa è un antichissimo genere della canzone, ma Dylan si è trovato a utilizzarla negli anni Sessanta, quando la ballata narrativa si misurava con quegli anni tribolati.
L’autore di Blowing in the wind però non ha quasi mai trattato questi argomenti in maniera strettamente lineare. Ha preferito creare delle situazioni allusive, spesso circolari, dove la storia, una volta sentita, lascia l’impressione di qualcosa di non ancora spiegato. Il desiderio immediato è di riascoltare la canzone, perché al primo ascolto non ci ha detto tutto.
Dylan è un autodidatta, con alle spalle una distratta frequentazione universitaria. E’ figlio della scuola dei folk singer, ma a differenza loro lui non ha mai scritto canzoni come articoli di giornali. Nemmeno quando ha raccontato fatti che aveva letto sul giornale del giorno prima. E questa forse è la differenza tra le canzoni di Dylan e quelle di tanti suoi altri colleghi.
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