Approfondimenti

Un telefonino contro la censura

Tra le tante persone arrestate o licenziate in questi giorni in Turchia ci sono anche molti giornalisti. Erdogan non ha mai gradito le critiche della stampa e oggi i gruppi editoriali sono praticamente tutti allineati con il governo. La stretta che ha seguito il colpo di stato, almeno per quanto riguarda i media, non è quindi una novità. In Turchia fare giornalismo indipendente è quasi impossibile, ma qualcuno, nonostante i rischi e gli ostacoli, riesce ancora a fare informazione.

Unsal Unlu, in passato noto giornalista politico, ha accettato d’incontrarci in un caffè di Ankara. Una vera eccezione. Trovare un giornalista in Turchia non è cosa facile. Chi lavora nei grandi gruppi editoriali in linea con il governo in realtà non fa più il giornalista. Chi è stato licenziato perché non condivideva le scelte editoriali ha paura di parlare. Gli altri sono stati arrestati. Almeno 200 negli ultimi due anni.

La storia di Unsal Unlu è rappresentativa del rapporto tra politica e informazione e della profonda crisi della libertà di stampa in questo paese. Grazie ai social media e alla tecnologia Unsal Unlu è riuscito a sopravvivere e a fare ancora il suo lavoro.

“Faccio il giornalista da 27 anni. Ho cominciato a NTV, la principale televisione turca, poi sono passato a un altro grosso gruppo editoriale. In entrambi i casi sono stato licenziato. Ogni volta diventava sempre più difficile trovare un nuovo contratto e alla fine è diventato impossibile. Da quattro anni faccio il freelance, lavoro da solo”.

Da 9 mesi Unsal Unlu va in onda su Periscope, un’applicazione per smartphone e tablet. Anche il giorno dopo il colpo di stato, quando era in vacanza sul Mar Egeo, si è messo in contatto con la sua rete. Ha raccolto le informazioni attraverso le sue fonti ed è andato in onda per aggiornare e commentare. Ogni giorno lo guardano quasi 20mila persone. All’inizio aveva 37 telespettatori.

“Il problema della libertà di stampa non riguarda solo la censura di Erdogan. Su questo punto bisogna essere molto chiari. In Turchia nessuno, governo e opposizione, vuole sentire critiche. E anche la società turca non vuole sentirsi raccontare problemi, cose che non vanno. La maggior parte della gente vuole sentirsi dire che va sempre tutto bene. Qui la democrazia non è molto popolare.

Unsal Unlu, che trasmette tutti i giorni dal lunedì a venerdì, non sa se la censura lo colpirà nuovamente. Ma non sembra preoccupato. È abituato a lavorare in questo clima.

“Il vero coraggio è controllare la paura, in questo modo ho attirato sul mio sito anche diversi sostenitori di Erodgan. Non sono d’accordo con me, ma mi guardano e mi scrivono. Durante la messa in onda leggo loro messaggi e gli rispondo in diretta. Uno dei problemi di questo paese è che tutti si schierano, a favore o contro il governo, da una parte o dall’altra, amici o nemici. Io invece cerco di raccontare la realtà. È l’unica cosa che posso fare. Ed essendo il capo di me stesso riesco ancora a farlo”.

Sono tanti i giornalisti turchi che non trovano più lavoro. In molti casi hanno scelto di fare un altro mestiere. Grazie ai social media Unsal Unlu ha potuto invece proseguire sulla sua strada.

“Anche Erdogan si è accorto che i social media possono essere utili. Il colpo di stato è fallito grazie a Face Time, e al messaggio del presidente trasmesso in televisione via telefonino. Magari tutta questa storia, almeno da questo punto di vista, ci porterà più libertà”.

In un contesto come questo l’unica speranza è che un giorno siano gli stessi cittadini turchi a chiedere una vera informazione libera. Tenendo a mente che prima di Erdogan la censura sulla stampa era ancora più forte.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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