Grandi società, multinazionali, ma anche individui.
I Panama Papers hanno scoperchiato il vaso di pandora dell’elusione fiscale, parola elegante per definire la pratica del sottrarre redditi e patrimoni al fisco con l’aiuto di leggi compiacenti.
Dai quasi 3TB di documenti sfilati allo studio legale Mossack Fonseca di Panama usciranno altri nomi, oltri a quelli che hanno invaso le cronache di questi ultimi giorni. Il nodo italiano della rete del Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi (ICIJ) è L’Espresso.
Vittorio Malagutti è il caporedattore del settimanale ed è stato uno degli ospiti di Memos. «Nel prossimo numero – ci dice – usciranno diverse decine di nomi italiani inediti, diverse sorprese e qualche storia interessante dietro questi nomi, in particolare sulle ragioni che hanno portato alla costituzione di queste società offshore».
Ospite della puntata di oggi anche Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento “Campagne” di Oxfam Italia.
«Ciò che rivelano le carte, i Panama Papers – dice Bacciotti – è il racconto di un sistema globale che tollera le pratiche di elusione fiscale tramite il ricorso a paradisi fiscali. La cosa importante da sottolineare è che si tratta di un ricorso su larga scala. Dobbiamo considerare che i dati emersi dai Panama Papers riguardano un solo studio legale, di un solo paradiso fiscale. Nel mondo sono decine gli stati che possono considerarsi più o meno paradisi fiscali e sono moltissimi gli studi legali come Mossack Fonseca. L’inchiesta dell’ICIJ ci racconta un sistema opaco contraddistinto da un’agguerrita concorrenza fiscale tra i paesi a beneficio di persone che usano questi sistemi e questi paesi per accantonare risorse. Si tratta di risorse che in un certo senso sono rubate a tutta la collettività».
Rispetto agli annunci dei vari G20 e G8 più volte fatti in questi anni, dal 2008 in avanti, di voler combattere i paradisi fiscali, siamo ancora all’anno zero?
«Non è proprio così, ma possiamo dire – sostiene Bacciotti – che si è fatto troppo poco. E’ vero che dal 2008 in poi G8 e G20, insieme ad alcune organizzazioni internazionali come l’Ocse, hanno avviato processi che hanno consentito alcuni passi in avanti. Penso ad esempio al processo, avviato in sede Ocse, di scambio automatico delle informazioni tra autorità fiscali nazionali. E’ un processo importante, sicuramente promettente, che però procede a rilento. Altro esempio: la Commissione europea, proprio oggi, sta discutendo una proposta legislativa che fa un passo avanti rispetto ai passi già fatti in sede Ocse. Si prevede un meccanismo nel quale non c’è solo trasparenza e scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali, ma un obbligo per le multinazionali (non per gli individui) di rendicontazione pubblica paese per paese. In questo modo le multinazionali saranno obbligate a dichiarare il livello effettivo di imposte versate nei diversi paesi nei quali operano attraverso proprie società sussidiarie. E’ un passo importante, favorevole, ma che può essere ulteriormente migliorato».
Cosa manca a questo progetto?
«Il punto d’arrivo – racconta la responsabile della campagne di Oxfam Italia – dovrebbe essere la messa al bando dei paradisi fiscali. Dovrebbero essere smantellati a favore di una trasparenza tout court, non solo attraverso una trasparenza tra le autorità fiscali dei singoli stati. Ci vuole una trasparenza anche verso i cittadini e quelle imprese che oggi, come si può immaginare, non accedono a questi mezzi di elusione fiscale, restando svantaggiate senza una precisa colpa. Secondo noi esistono dei punti deboli nella proposta che sta discutendo la Commissione europea. L’obbligo di rendicontazione pubblica per le multinazionali è limitato solo ai paesi dell’Unione europa. Una simile proposta non può funzionare se non si estende a tutti i paesi in cui operano le multinazionali. Altrimenti si ripropone il tema della concorrenza fiscale tra paesi Ue e non-Ue: una multinazionale per sfuggire all’obbligo di rendicontazione finirebbe per spostarsi in paesi fuori dall’Ue. Un altro punto debole della proposta della Commissione europea è la parte in cui prescrive l’obbligo di rendicontazione solo alle multinazionali con un fatturato superiore ai 750 milioni di euro. Nei fatti la proposta verrebbe ad applicarsi al 10-15% delle multinazionali operanti in Europa (quelle appunto con fatturato superiore ai 750 milioni di euro). Ovviamente è una soluzione che non va bene, perchè anche le multinazionali più piccole devono, secondo noi, avere un obbligo di rendicontazione pubblica paese per paese. Infine, la rendicontazione prevista dalla proposta della Commissione europea dovrebbe avere un set ampio di indicatori che possano dirci quanto queste multinazionali assolvono al loro obbligo di pagare le tasse nei paesi dove realizzano i profitti».
Voi di Oxfam avete lanciato una campagna di pressione sulla Commissione europea e i governi nazionali. Di cosa si tratta?
«Abbiamo voluto lanciare una petizione in Italia come parte di una petizione globale che ha già raccolto 230 mila firme dalla fine di gennaio ad oggi. Chiediamo la fine dei paradisi fiscali. Vogliamo che si arrivi, tramite una cooperazione più stretta e a vari livelli, ad adottare quei provvedimenti di cui abbiamo parlato volti a chiudere i paradisi fiscali, eliminare quella concorrenza fiscale aggressiva che drena risorse agli stati e ai cittadini sia in Europa che nel sud del mondo. Oxfam consegnerà queste petizioni ad un summit dell’Onu che si riunirà nel prossimo settembre. Il cambiamento è possibile – conclude Elisa Bacciotti – e l’indignazione dei cittadini può e deve trasformarsi in azione a beneficio di tutti».
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