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Se Ankara preferisce l’Azerbaijan all’Ue

Visto da Istanbul, non c’è troppo da aspettarsi dal summit in corso Europa-Turchia. Il primo ministro Ahmet Davutoğlu ha in previsione il 18 marzo, nella mattinata, un ncontro per discutere le nuove richieste di Bruxelles per la gestione del flusso dei migranti. Il tutto accade mentre i dossier sul tavolo del presidente Recep Tayyip Erdogan diventano sempre più ingestibili. A partire dalla minaccia interna.

Peraltro sembra che ad Ankara, in fondo, importi poco dell’Unione europea e della possibilità di entrarci. La strategia geopolitica porta altrove. In Azerbaijan, soprattutto, altro Paese con rapporti conflittuali con Bruxelles ma che tiene l’Europa in pugno visto il modo con cui l’Unione si è legata mani e piedi alle sue forniture di gas in futuro con un progetto come il Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che andrà da Baku fino al Salento e da lì al resto d’Europa. Il presidente azero Ilham Aliyev è stato anche il primo a far visita ai turchi: Erdogan avrebbe dovuto recarsi a Baku per discutere come implementare il volume di affari tra i due Paesi, che si prevede raggiungerà i 20 miliardi di dollari nel 2020, partendo dai 13 miliardi di oggi. Ovviamente pedina chiave sarà il Tanap, il tratto azero-turco del gasdotto.

Mentre l’Azerbaijan è un alleato sempre più vicino, Bruxelles sembra invece recitare la parte di un padre incapace di dare il buon esempio: mette in discussione (molto sottovoce, per altro) l’autoritarismo violento di Ankara, ma poi alza muri e barriere. Il meeting di Bruxelles finora si è meritato tanta cronaca, molto asciutta, e qualche trafiletto al vetriolo. Come quello di Barçın Yinanç sulle colonne del Daily Hurriet. Per la giornalista, l’accordo è da farsi: chi lo critica perché Ankara è autoritaria ha una doppia morale. La critica vale solo se rivolta alla Turchia e non all’Europa incapace di altro se non alzare le barriere.

Nei giorni poco successivi all”uscita della bozza di accordo, a inizio marzo, i media turchi pubblicavano la notizia della possibilità di fermare il flusso di migranti irregolari “nel giro di dieci giorni”. Questa la versione di fonti governative di alto spessore, secondo la stampa. Chi mai potrebbe essere in disaccordo con questo? La politica europea risponde con l’ottimismo di circostanza, mostrato da tutti i suoi volti più noti. Martin Schultz, il presidente del Parlamento, in primis: “Prevarrà il buon senso”, dichiara alle agenzie. La realtà però è che il sistema delle quote dei migranti con i quali ridistribuire le persone nell’Ue finora è sostanzialmente fallito. A questo si aggiunge la lentezza con il quale si stanno affrontando le precondizioni già stabilite.

La bozza di accordo emersa dalla prima tornata di discussione il 7 marzo prevedeva porte aperte per i turchi in Europa, senza richiesta di visto come accade oggi. Le paure però per l’instabilità del Paese sono ancora aumentate e quest’apertura non si è ancora concretizzata. Così come lontano dal realizzarsi è il passo indietro di Cipro per la riapertura del dossier su un possibile ingresso nell’Ue della Turchia, anche questo nell’accordo.

Anche sul lavoro da fare per la gestione dei profughi c’è qualche problema, tanto che Ankara ha dovuto giocare al rimpiattino raddoppiando le richieste all’Europa (da 3 a s6 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi). Può funzionare il gioco? Difficile a dirsi: fatto sta che ora la trattativa è tra chi mette in carcere qualunque oppositore e chi costruisce barriere per impedire che qualcuno raggiunga le sue coste. La peggiore Turchia di sempre, con la peggiore Europa di sempre. E a guadagnarci più di tutti in questo quadro è Aliyev, l’amico azero.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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