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Quando il nemico russo diventa indispensabile

Nadia Savchenko, la pilota ucraina sotto processo in Russia, ha accusato pesantemente la corte che nei prossimi giorni deciderà il suo destino. “Putin è un tiranno, i russi sono dei fascisti, questo processo è una farsa”. Nonostante lo sciopero della fame la Savchenko ha pronunciato queste parole in aula con voce ferma e sicura.

La pilota ucraina, accusata di aver ucciso due giornalisti russi nel Donbas nel 2014, è ormai il simbolo dello scontro tra Mosca e Kiev. La Russia continua a comportarsi come se le sue azioni nell’est dell’Ucraina fossero assolutamente legali sotto il diritto internazionale e vuole punire i vicini di casa con un processo pensato e organizzato ad hoc. L’Ucraina, da parte sua, non ha perso l’occasione per fare della Savchenko una martire in mano al nemico tiranno.

La sentenza è attesa tra due settimane. Ma gli avvocati hanno detto che se Nadia Savchenko non interromperà immediatamente lo sciopero della fame e della sete potrebbe anche morire prima. Un muro contro muro. Esattamente quello che sta succedendo sul campo e sul fronte diplomatico.

Sulla carta nell’est dell’Ucraina è in vigore da oltre un anno un cessate il fuoco, concordato a Minsk in Bielorussia e monitorato dall’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Gli scontri si sono ridotti drasticamente. In molti centri la vita è quasi normale, ma le cittadine che si trovano sulla linea del fronte vivono ancora come un anno e mezzo fa, nel pieno dello scontro tra esercito e ribelli filo-russi. A Marinka, non lontano da Donetsk, i 200 bambini rimasti in città continuano ad andare in una scuola che porta i segni dei colpi di mortaio e le loro famiglie sono ancora costrette a fare a meno di gas e riscaldamento.

La guerra ucraina non è mai diventata uno scontro bellico su larga scala, come molti temevano, ma si è trasformata in un perfetto conflitto a bassa intensità. Le regioni dell’est sono fuori dal controllo del governo centrale e sopravvivono solo grazie agli aiuti russi, ma Mosca non ha alcuna intenzione di annetterle come fece con la Crimea. Una situazione che alimenta ulteriormente l’instabilità, come vuole Putin, e che con il passare del tempo allontana una possibile soluzione politica. Governo ucraino e ribelli filo-russi hanno concordato una serie di misure per dare maggiore autonomia al Donbas e per smilitarizzare la regione, ma in un anno nessuna delle due parti ha fatto passi in avanti in questa direzione.

Il paradosso di tutta questa storia, come ha segnalato lo storico Nicolai Petro, è che mentre l’Ucraina rischia di andare definitivamente in bancarotta l’unica in grado di tirarla fuori da una profondissima crisi economica è proprio la Russia.

Nel 2015 Kiev ha comprato il gas europeo invece di quello russo, ma ha pagato il 30% in più. La moneta nazionale, la Grivinia, ha perso in un anno il 350%, mentre l’inflazione è arrivata al 43%. Tagliando i contratti con Mosca su difesa e aviazione il paese ha perso l’80% dei suoi ingressi e interrompendo i rapporti bancari con la Russia ha rinunciato a circa 9 miliardi di dollari in rimesse dai 7 milioni di ucraini che vivono e lavorano in Russia. Kiev si è affidata al Fondo Monetario Internazionale e agli scambi con l’Unione Europea. I paletti però sono molto più rigidi rispetto a quelli di Mosca e il giro d’affari è decisamente ridotto. Il presidente Poroshenko ha detto di voler puntare molto sull’agricoltura, ma anche qui i macchinari vanno comprati dall’estero. Con quali soldi?

Il governo e presidente sono sempre meno popolari, anche se una nuova protesta in stile Maidan è improbabile. Indicando la perdita della Crimea e il conflitto nell’est come le uniche cause di questa crisi le autorità di Kiev riescono a raccogliere ancora l’appoggio necessario. Ma il paese è sempre più vicino alla bancarotta, e a questo punto anche l’Europa potrebbe rivedere la sua strategia e capire se è possibile favorire la ripresa dei rapporti economico-commerciali tra Russia e Ucraina.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    “Oggi si fa la storia”. La Groenlandia va al voto dopo le dichiarazioni di Donald Trump

    Sono in corso le elezioni in Groenlandia. Circa 44.000 groenlandesi su una popolazione di 57.000 abitanti hanno diritto al voto per eleggere 31 parlamentari e il governo del Paese. I seggi sono aperti fino alle 20 locali, le 23 in Italia. Sono elezioni che hanno attirato attenzione globale dopo l’interesse mostrato da Donald Trump per le preziosissime risorse minerarie della Groenlandia. E proprio per questo, hanno assunto connotati storici. Ne abbiamo parlato con Enrico Gianoli, collaboratore dell’Osservatorio Artico e guida escursionistica in Groenlandia, autore del libro “La via del Vento”.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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