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Un ricordo del cantautore Gianmaria Testa

Quando in un’intervista gli chiesi qual è la qualità che preferisce in un uomo, senza un attimo di riflessione, Gianmaria mi rispose il coraggio. Mentre dovendo indicare il tratto principale del suo carattere, dopo qualche istante di riflessione, mi rispose che forse, in quel momento, era la tenacia.

La sua battaglia contro la malattia era appena iniziata. Coraggio e tenacia. Ma Gianmaria Testa, l’ex ferroviere che è diventato musicista riscuotendo successi in Francia prima ancora che in Italia, per chi l’ha conosciuto era anche molto altro. Era un musicista. Il canto non è solo suono: è anche profumo, leggero e avvolgente. Come le sue canzoni. Quando parlava, e lo faceva spesso, del dramma dei migranti non lo faceva da un punto di vista politico, ma umano. E il risultato era che la sua denuncia era più incisiva di cento comizi (per sincerarsene basta riascoltare le canzoni di ‘Da questa parte del mare’).

Non scriveva pamphlet, preferiva privilegiare le considerazioni umane di persone in crisi. Non era nato artista, sapeva cosa voleva dire timbrare il cartellino e quando scriveva o faceva teatro non si dimenticava mai di parlare di lavoro, e di tutto quello che gli gira intorno. Nato nel 1958, era consapevole di far parte di una generazione che oggi ha in gran parte in mano le leve del potere. “La mia – ci ha detto una volta  – è la prima generazione che vede le cose peggiorare, dopo averle viste cambiare, quando, nel ’68, eravamo alla ricerca di qualcosa di nuovo”. Un concetto che nel suo lavoro non dimenticava mai. Forse anche per questo era sempre disponibile. Per una iniziativa di Radio Popolare, per esempio, pur di esserci ha fatto 300 km in macchina, ha suonato e cantato gratuitamente e poi ci ha detto: “Casa mia è solo a 150 km, vado a dormire lì. I soldi dell’albergo metteteli tra le sottoscrizioni per la radio”.

Nel suo cd Vita mia c’è un rock blues che racconta dell’inadeguatezza degli addii in certe circostanze, come la morte di un amico. In quella canzone, che si chiama “Lasciami andare”, c’è tutto quello che c’è da dire in circostanze come questa.

Non sono venuto per salutare
che io non lo conosco
il tono giusto del saluto
e nemmeno le parole
per la circostanza
e dove mettere le mani
dove guardare
quale muro della stanza
guardare
non sono venuto per salutare
non sono venuto per salutare
perché io non lo capisco
il tempo giusto del saluto
che trova le parole
e toglie la distanza
e poi libera le mani
lascia guardare
di là del muro di una stanza
guardare
non sono venuto per salutare
non torneremo mai
sui nostri passi mai
non ci sarà più posto
neanche di nascosto
nei giorni andati mai
non torneremo più
o solo a ricordare
che il tempo del ricordo
è il tempo del ritardo
e non fa ritornare
lasciami andare
non sono venuto per salutare
però adesso lo riconosco
il tono giusto del saluto
e conosco le parole
per la circostanza
e posso stringere le mani
e riesco a guardare
qualunque muro di una stanza
guardare…
non torneremo mai…

  • Autore articolo
    Claudio Agostoni
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