Tra il lavori in proprio in cui ci si immagina i giovani preferiscano buttarsi quasi mai al primo posto viene in mente la pastorizia. E invece.
Matteo è milanese e lascia la città a 18 anni per non tornare mai più, se non di passaggio. Gli chiedo se ogni tanto gli manca e se pensa di ritornare. “No, ma va!” risponde sorridendo: devo essere pazzo a chiedergli una cosa del genere. E in effetti il suo è un percorso di successo, faticoso ma sempre all’inseguimento del suo sogno, che da subito ha avuto ben chiaro. Parte giovanissimo per la Calabria per imparare il mestiere. Dopo qualche tempo va in Svizzera, dove il padrone del gregge con il quale lavora lo ripaga con qualche capra. E così comincia la sua avventura. Da lì la ricostruzione di un rudere abbandonato a Ronco di Cannobio, la costituzione dell’azienda agricola montana e l’acquisto (su internet!) dell’attrezzatura usata per il caseificio.
Ora, lui e sua moglie, lavorano e vivono del loro gregge di capre, insieme alle loro tre bambine. “Hai in mente Heidi? Ecco, completamente diverso”. È un lavoro duro, faticoso, che però dice, dà un sacco di soddisfazioni.
La storia di Matteo è speciale, e parla di un settore in cui scopriamo che c’è ancora grande richiesta. “Se fossimo in tanti ci si potrebbe aiutare, ma in Italia si pensa per sé”, mi dice quando gli chiedo come funziona la vita del pastore. Si è in pochi, in pratica, e ogni allevatore (o nucleo familiare) deve occuparsi del gregge per tutto l’anno, senza pause. Nel resto d’Europa ci spiega, le cose sono diverse. Ci sono collettivi di giovani pastori che si danno i turni per aiutarsi.
Se a qualcuno interessasse questo mondo e volesse imparare il mestiere del pastore, l’azienda di Matteo ha sempre le porte aperte per nuove collaborazioni. La trovate qui.
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