Gli indipendentisti catalani fanno sul serio.
Come avevano promesso dopo la vittoria alle elezioni regionali dello scorso settembre, hanno messo in moto il processo con il quale puntano ad arrivare alla dichiarazione d’indipendenza dalla Spagna nel giro di un anno e mezzo.
Il parlamento di Barcellona, dove gli indipendentisti hanno la maggioranza assoluta, ha votato una mozione che prevede un processo costituente “aperto” e “partecipativo”. La risposta del governo spagnolo non si è fatta attendere. Il primo ministro, Mariano Rajoy, ha immediatamente firmato il ricorso al Tribunale Costituzionale, chiedendo che la risoluzione venga subito sospesa. I tempi saranno molto stretti. Il Tribunale Costituzionale si pronuncerà entro metà settimana, forse già mercoledì. In quel momento si capirà sul serio il grado della rottura tra Madrid e Barcellona. La mozione precisa che il parlamento catalano e il processo messo in moto oggi non verranno condizionati in alcun modo da quello che diranno le istituzioni spagnole, a partire dal Tribunale Costituzionale.
Con questa mossa gli indipendentisi hanno fatto un passo in più rispetto al passato. Lo scorso anno, per esempio, il governo regionale catalano aveva annullato il referendum sull’autodeterminazione dopo che sulla consulta si era pronunciato negativamente lo stesso Tribunale Costituzionale.
Ma adesso, dicono gli indipendentisti, le istituzioni spagnole sono delegittimate. Questo vuole dire che il distacco della Catalogna dal resto della Spagna sia ormai inevitabile? In realtà no. Di fronte a una seria proposta di negoziato, Barcellona potrebbe tornare sui suoi passi. In questo senso saranno decisive le prossime elezioni spagnole, che si terranno il 20 dicembre, visto che una proposta di negoziato può arrivare solo dal governo centrale.
Il Partito Popolare, oggi al governo, è inamovibile. Lo stesso Ciudadanos, un’altra formazione di centro-destra. Ma i socialisti e Podemos potrebbero avere un approccio diverso. Questa settimana appoggeranno Mariano Rajoy, in difesa dell’unità statale e in chiave elettorale, ma dopo il voto potrebbero assumere una posizione diversa. I socialisti pensano da tempo a una riforma dello stato in chiave federale. Mentre Podemos, seppur contrario all’indipendenza della Catalogna, è a favore di un referendum sull’autodeterminazione.
Il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, ha detto che il suo governo farà di tutto, all’interno dello stato di diritto, per fermare il parlamento catalano; e ha spiegato che in gioco ci sono i valori della democrazia. Ma in queste parole c’è tutta l’ambiguità di Rajoy sulla questione catalana, e la chiusura e rigidità del Partito Popolare, senza cui tutta questa storia non sarebbe forse mai cominciata.
In effetti cinque o sei anni fa gli indipendentisti rappresentavano circa il 10% della società catalana. Oggi siamo al 50%. La spinta indipendentista arriva dal basso, non è una strategia della classe politica, ed una spinta fortemente progressista. I partiti politici catalani non hanno fatto altro che farla propria. Non avevano alternative.
La mozione votata a Barcellona dice espressamente che il processo indipendentista dovrà prestare particolare attenzione alla povertà energetica, alla casa, alla sanità, all’educazione, all’accoglienza dei rifugiati.
Dietro alla voglia di secessione non c’è un nazionalismo che vuole erigere nuove frontiere. Lo Stato spagnolo lo sa, dovrebbe solo agire di conseguenza.