Un nuovo film di Abdellatif Kechiche, a dieci anni dal Leone d’Argento per Cous Cous e a sette da Venere Nera. Nel frattempo ha vinto la Palma d’Oro con La vita di Adele, che dice di aver venduto per produrre il suo ultimo film.
Mektoub, my love: Canto Uno, presentato in concorso al Festival di Venezia 2017 arriva dopo gli attentati di Parigi e di Nizza. Non è indispensabile saperlo, ma può essere utile per capire meglio questo film immenso, anche se il film è ambientato negli anni ’90 e forse c’è anche qualche spunto autobiografico, pur essendo tratto da un libro di François Begaudeau, già autore del libro autobiografico da cui Laurent Cantet aveva tratto il film La classe che vinse la Palma d’oro a Cannes nel 2008.
Mektoub in arabo significa destino. Tutto si svolge in un’estate vicino a Marsiglia, dove il giovane Amin (Shaïn Boumedine), studente di sceneggiatura a Parigi, torna per le vacanze. È la città in cui è cresciuto e in cui vive la sua numerosa famiglia. Amin frequenta e osserva gli amici della sua infanzia, tra spiagge, amori, danze, bevute e risate. E passa molto tempo con Tony, il cugino rubacuori che ha fatto innamorare la più cara amica di Amin, oltre a molte ragazze lì in vacanza.
In tre ore di film Kechiche si sofferma a lungo sulle scene corali, sugli sguardi, sui corpi, sui singulti in un flusso di emozioni travolto da parole, che riprendono il linguaggio vivo e carnale di Cous Cous, La vita d’Adele e La schivata.
La grande famiglia di Amin è la comunità magrebina, tutti i ragazzi sono di seconda generazione, soprattutto maschi, assetati di vita, di amore e di incontri con le coetanee figlie di francesi. Nessun ‘radicalizzato islamico’ in questo film e forse il film è rivolto anche i giovani, ora di terza generazione, che procurano la morte ad altri, e a se stessi, pensando di trovare il Paradiso, come gli raccontano. Ma il paradiso è qui, sembra dire loro Kechiche, dove l’amore è l’arma più forte.