“Faccia d’Argento”. “La molestata molestò un minore”. “Molestatrice MeToo”, “Asia Weinstein”. Sono i titoli di alcuni giornali all’indomani delle rivelazioni del New York Times, secondo il quale l’attrice italiana Asia Argento ha raggiunto un accordo economico con l’attore Jimmy Bennet, che l’accusava di averlo molestato quando era minorenne, nel 2013.
La stampa italiana non vedeva l’ora che Asia Argento cadesse in disgrazia per potersi avventare nuovamente su di lei. Questo è il trattamento mediatico dedicato all’attrice che in Italia è diventata il controverso simbolo della presa di parola delle donne sul tema delle molestie sul lavoro, un problema diffusissimo.
All’indomani della denuncia che Argento fece al produttore Weinstein, si scrissero pagine intere in cui si metteva in dubbio tutto delle sue accuse: perché aveva avuto una vita sregolata, perché aveva fatto carriera con Weinstein, perché era antipatica, perché era ricca, perché aveva i tatuaggi. Come si poteva crederle?
Ora che le accuse sono a parti invertite, nessuno si è messo a fare la radiografia all’accusatore. Gli si crede e basta. E non soltanto perché c’è stata una transazione finanziaria. Nessuno invoca la giustizia dei tribunali, nessun garantismo.
Alla base di questo trattamento non c’è solo un accanimento specifico verso Asia Argento, ma c’è il più ambito tentativo di depotenziare il movimento #MeToo, i movimenti femministi, di confinare il tema delle violenze di genere, che con tanta fatica ha conquistato la scena pubblica, nell’oblio in cui la cultura sessista cerca di ricacciarlo. Il patriarcato è vivo e alberga soprattutto nei posti di potere. Quindi anche ai vertici delle redazioni.
Colpire Asia Argento significa voler zittire tutte quelle donne che in situazioni meno privilegiate dell’attrice, e sono la maggioranza, hanno voglia di dire basta alle violenze.