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Tratto dal podcast
Gli speciali di Radio Popolare di ven 15/11
Cultura | 2019-11-15
L’ultimo libro di Concita De Gregorio, In Tempo di Guerra, affronta un tema che per la politica sembra invisibile: le battaglie dei trentenni che si trovano in eredità un universo saturo e ostile lasciato così dalle generazioni precedenti.
Ne abbiamo parlato con la scrittrice e giornalista durante l’ultima edizione di Milano BookCity. L’intervista di Barbara Sorrentini.
Marco è un ragazzo di trent’anni che ti ha cercata per raccontarti la sua storia e la sua storia è al centro del tuo libro. Raccontaci chi è Marco, cosa fa, quali sono i suoi sogni.
Marco è proprio questo. È un ragazzo di trent’anni che un giorno mi scrive e mi dice: “Tutti le chiederanno cinque minuti del suo tempo. Io le chiedo una settimana del suo tempo perché la mia storia non riesco a riassumerla in cinque minuti”. Mi scrive una lettera molto bella e iniziamo a parlare, cominciamo prima dalla corrispondenza e poi ci vediamo. Nell’arco di due anni, questo è il tempo che mi è stato necessario per finire il lavoro di raccolta e di ascolto, ho cercato davvero di ricostruire la sua storia e di far confluire nella sua storia tutti quei frammenti di storie di trentenni che raccolgo quotidianamente nella rubrica delle lettere, dove moltissimi ragazzi mi scrivono per dirmi della loro battaglia.
Parlando con Marco questo è emerso con grandissima chiarezza: quella dei trentenni è una guerra di cui nessuno parla, una guerra non dichiarata e invisibile in cui ciascuno di loro è un soldato solitario. Tutti si occupano dei giovani, in maniera anche molto retorica, o degli anziani o dei cinquantenni senza lavoro, di Quota 100 e dell’evasione. Nessuno, nella politica attuale e anche nel discorso pubblico, parla mai dei trentenni.
Il trentesimo anno, ciascuno di noi lo sa, è quel primo confine in cui si tira una linea, si fa un bilancio. Alcune cose le hai già fatte, devi stabilire quali e dare una valutazione, devi decidere la direzione da prendere e se non c’è una strada davanti a te. È anche un momento molto pericoloso e molto delicato in cui ti puoi inabissare in una dimensione di chiusura e di isolamento. Oppure puoi andare a combattere altre battaglie. Andartene all’estero, farti la tua vita. Devi trovare il tuo posto.
Tu l’hai definita una generazione senza ideali, un po’ per il momento politico attuale e perchè nessuno pensa a loro. Poi c’è anche l’invasione dei social che cambia anche il tipo di rapporti e di relazioni. Ma quando noi avevamo trent’anni era diverso? Che differenze hai trovato?
Non si dice mai che una generazione è senza ideali, io non l’ho mai detto e quello che è uscito è una sintesi giornalistica. Marco è pieno di ideali. Marco è un volontario del Mondo Pulito, è uno che segue Friday For Future, è uno che vuole andare ad arruolarsi nell’esercito della Siria del Nord. È un ragazzo che cerca il suo posto nel Mondo e che lo cerca a posto dove qualcuno gli dà casa. Però nel dialogo con le generazioni dei suoi genitori e dei suoi nonni, lui mette in dubbio che questa sia la scelta giusta per lui e anche loro mettono in dubbio che questa sia la scelta giusta per noi.
Il libro nasce dalla sorprendente composizione familiare della vera e autentica famiglia di Marco, che nell’arco di tre generazioni tocca il Pantheon degli ideali del ‘900: una nonna santa in processo di beatificazione, un nonno dirigente del Partito Comunista, un’altra nonna medico. Un nonno che si occupa di lettere antiche, il bisnonno partigiano. Lui si chiede che cosa vuol dire avere 30 anni oggi? E che cosa è stato avere trent’anni per mio padre? Mio nonno? Il mio bisnonno? Quanto è diverso?
Lui è figlio di una generazione che viene dagli anni ’70, i suoi genitori hanno attraversato il movimento politico e le battaglie limitrofe alla lotta armate e poi si sono rifugiati in una vita nei boschi e sono finiti in una setta. Anche questo tema delle sette mi sembrava molto rilevante perché anche oggi le appartenenze chiuse sono quello che sostituisce un ideale grande o collettivo. O almeno succede nel nostro Paese, perché proprio in questi mesi nel resto del Mondo si cominciano a vedere di nuovo le piazze proprio di ragazzi dell’età di Marco.
Dal punto di vista dell’osservazione è una generazione interessantissima. Tu pensi che le capitane delle Open Arms o delle navi del Mediterraneo, la generazione che sta dando battaglia a Trump negli Stati Uniti, quella di Alexandria Ocasio-Cortez, la capitana della nazionale di calcio americana Megan Rapinoe hanno trent’anni, tu vedi che nel mondo i trentenni in qualche modo stanno segnando un cambiamento in questo momento. È in Italia che si fa ancora un po’ di fatica e la storia di Marco racconta quanto le generazioni precedenti abbiano consumato tutto in una cena e hanno divorato perfino gli avanzi senza lasciare nulla. È una politica a spegnimento quella che continua ad occuparsi di chi ha già qualcosa e deliberatamente e pervicacemente evita di guardare chi non ha niente né avrà niente tranne i lavoretti, le paghette e il precariato.
Però poi basta volgere lo sguardo all’indietro, ascoltare i nonni e ripercorrere la strada all’indietro in modo da ritrovare la fiducia e la speranza. L’unico posto in cui possiamo andare quando abbiamo trent’anni è avanti.
In questo libro sei molto presente anche tu.
Sì, lui mi faceva delle domande alle quali io non avevo risposte. Io poi sono una cultrice del dubbio e sono convinta che alle domande bisogna rispondere con altre domande. Non avevo risposte da dare ai suoi quesiti fondamentali, se non in qualche caso fare mea culpa per quello che riguarda la mia generazione. Anche la mia generazione è arrivata di fronte ad un pasto già mangiato. Noi siamo la generazione di Carlo d’Inghilterra, quella che non regnerà mai e continuerà a regnare in questo Paese simbolicamente. Anche passare il testimone è un compito e allora lui ha aperto la sua scatola dei desideri e dei sogni, io ho aperto il mio piccolo Pantheon. Lui mi raccontava le sue musiche e io gli raccontavo i miei autori, lui mi diceva dei suoi propositi e gli dicevo delle storie che ho raccolto nel corso della mia vita e che mi aiutano quando sono in difficoltà. Ci siamo scambiati i nostri gioielli.
Nella narrazione della politica c’è qualche nesso con Nella notte, il tuo libro precedente?
Sì. Nella Notte, la storia vera della politica attuale e del meccanismo del potere così come l’ho conosciuto sulla mia pelle, si concludeva con la lettera di una ragazza di 25 anni che diceva “Io non voglio fare né l’influencer né ritirarmi a coltivare bio nella casa dei nonni”, che sono le uniche due possibilità che si danno ad una ragazza tra i 20 e i 30 anni: o vendere se stessa e la sua immagine o ritirarsi in un Eden privato a ricreare un Mondo che però serve solo a me. Ho ripreso quel filo e ho deciso di raccontare diffusamente cos’è la battaglia di un trentenne, anche la battaglia degli affetti. Per la prima volta c’è un punto di vista maschile. Lui mi racconta della sua battaglia con le donne, le ragazze che gli mettono ansia e che non capisce. Mi spiega della famiglia e dei genitori, il difficilissimo rapporto con la generazione post-movimentista. Il difficilissimo rapporto con il Mondo fuori e con i suoi coetanei.
Certo anche per noi è stato così, ma non altrettanto. Quando Marco mette in fila i suoi trent’anni con tutti i trent’anni di altre epoche, effettivamente oggi l’orizzonte è tanto più chiuso, il cammino è tanto più incerto. E nella politica non c’è chi abbia messo sul tavolo del discorso pubblico l’interesse di chi oggi entra nella vita adulta.
Si parla sempre di Quota 100, che riguarda una porzione destinata ad essere sempre più esigua, perchè riguarda chi ha già lavorato ed ha avuto un reddito, chi prenderà la pensione. Marco si chiedeva “se la politica non si occupa di noi, perchè noi dovremo occuparci della politica?”. Questa è una di quelle domande a cui posso rispondere con una storia vera che può essere di ispirazione.
Foto dal profilo ufficiale di Concita De Gregorio su Facebook