Aggiornamento 6 luglio 2018 – L’alta Corte di Giustizia israeliana ha congelato la demolizione del villaggio palestinese di Khan al Ahmar, dove si trova la “Scuola delle Gomme”, costruita con i fondi della cooperazione italiana e grazie alla Ong “Vento di terra”.
La decisione è giunta nella tarda serata di ieri, dopo l’appello presentato dalla Palestinian Authority, rappresentata dal legale della comunità beduina. Shlomo Lecker, l’avvocato, ha fatto presente che in tutti i dibattiti fatti al livello giudiziario non è mai stato preso in considerazione un documento di masterplan portato dalla comunità del villaggio. “Si è semplicemente deciso per la distruzione e il trasferimento forzato dei beduini – ha spiegato la direttrice dell’associazione “Vento di terra” Barbara Archetti – ascoltando esclusivamente le richieste della controparte israeliana, spesso ritenute inaccettabili anche dagli stessi giudici della corte”.
Ora l’istanza è stata presa in considerazione e la Corte ha fissato l’udienza per l’11 luglio. “I giudici – ha spiegato Barbara – si riuniranno per discutere come e se accettare la valutazione di questo masterplan, che in pratica è uno studio di un’ipotesi di collocamento e continuità abitativa dei residenti di quell’area“.
Mercoledì 11 luglio, dunque, sarà presa una decisione definitiva. “Speriamo che da qui a quel giorno continui la pressione a livello diplomatico, affinché possano esserci dei cambiamenti di rotta”.
La questione è molto delicata anche dal punto di vista politico, in ballo c’è la conclusione del piano E1 di Israele, cioè il progetto di costruzione di nuove colonie nell’area tra la Cisgiordania, la colonia di Ma’ale Adumim e Gerusalemme. Sarà, quindi, molto difficile che il governo di Benjamin Netanyahi rinunci e molli la pressione sulla zona di Khan al-Hamar. Potrebbe aiutare la presenza della delegazioni di consoli di Italia, Francia, Svezia, Belgio, Norvegia, Svizzera e Finlandia,che già ieri si sono recati sul posto per bloccare le ruspe.
“Dopo la dichiarazione di ieri dell’UE secondo cui la deportazione e le demolizioni vanno contro la soluzione pacifica del conflitto – ha spiegato ancora Archetti – ci auguriamo che tutte queste azioni abbiano dei risultati. Probabilmente mercoledì ci sarà un acceso dibattito sulla proposta della Palestinian Authority, forse ci sarà ancora una negoziazione su un piano di ricollocazione dei cittadini ma è chiaro che la loro posizione rimane la stessa. Loro vogliono rimanere sul loro territorio”.
Il destino del villaggio è sospeso, almeno fino a mercoledì.
La demolizione del villaggio Khan al Ahmar è imminente
5 luglio 2018 – Stamattina nel villaggio beduino di Khan al Ahmar, in Palestina, sono tornati i soldati israeliani che già ieri si sono presentati sulle colline della zona con ruspe e buldozer pronti a radere al suolo tutti gli edifici, compreso la Scuola di Gomme. La struttura è stata realizzata nel 2009 con pneumatici usati grazie alla Cooperazione italiana, alla Cei, alla Ong “Vento di Terra” e a una rete di Comuni italiani. La scuola accoglie ogni giorno centinaia di bambini provenienti dai villaggi della zona.
Oggi l’esercito ha mostrato agli abitanti l’ordine esecutivo di chiusura del villaggio che da oggi, dunque, diventa ufficialmente “area militare”. È stato impedito a chiunque di accedere, anche ai consoli di Italia, Francia, Svezia, Belgio, Norvegia, Svizzera e Finlandia, accorsi per capire cosa sta succedendo. Permesso negato. I consoli sono rimasti comunque in zona, pronti a ritentare un accesso ma intanto hanno espresso loro solidarietà, ribadendo l’importanza del rispetto del diritto internazionale.
“L’obiettivo è demolire tutto – ha detto Barbara Archetti, presidente dell’associazione Vento di Terra – come dichiarato nell’ultima seduta della corte suprema israeliana, e spostare in modo forzato tutti gli abitanti e duecento gli abitanti della zona.
Quella di Khan al Ahmar è una zona sensibile perché proprio da lì deve passare il corridoio 1 che è l’ultima fascia di territorio su cui verranno costruite infrastrutture che, di fatto, andranno a spezzare la West Bank in due parti separate e non comunicanti l’una con l’altra. Khan al Ahmar e la scuola di Gomme si trovano esattamente in mezzo ed è il motivo per cui hanno iniziato la demolizione coatta.
“Ci avevano già provato in passato, non è la prima volta che nel villaggio arrivano le ruspe – ha spiegato Barbara – ma adesso la sentenza della corte israeliana è diventata esecutiva, quindi le operazioni lasciano intendere che le demolizioni sono imminenti e che questa volta non si fermeranno. Quando è arrivato il primo bulldozer e la popolazione beduina si radunata per protestare e per bloccarlo, sulla collina vicina sono comparse altre ruspe pronte all’azione che, infatti, hanno raso al suolo 15 case e vari ricoveri per animali nel villaggio di Abu Nwar. L’obiettivo era di allargare i varchi per l’arrivo di altri mezzi demolitori”.
Anche oggi, come ieri, c’è stata molta tensione. Gli abitanti del villaggio hanno fatto resistenza. Nel pomeriggio di ieri sul posto è accorso il console britannico che ha voluto rendersi conto di persona della situazione. Alle proteste della popolazione si sono aggiunte quelle degli attivisti delle associazioni e delle Ong attive in Palestina e alla fine della giornata ci sono stati 11 arresti e oltre 35 feriti tra i residenti e gli attivisti, sia locali sia stranieri.
“Purtroppo non ci sono molte speranze di salvare le case e la scuola – ha commentato ancora Barbara Archetti – L’area è veramente sensibile dal punto di vista strategico/militare/urbanistico per Israele, per completare il piano d’espansione e la divisione della West Bank, per annientare, così, le speranze di creare uno stato palestinese unitario”.
Il piano del governo Netanyahu è annettere le aree che, di fatto, sono Area C, quindi territorio palestinese ma dove in pratica si sono formate le più grosse colonie israeliane. La comunità internazionale si è avvicinata al caso del villaggio di Khan al Ahmar e anche le associazioni stanno combattendo a livello diplomatico per bloccare le demolizioni. “Ci si sta muovendo su più piani – ha aggiunto Barbara – Sono state anche raccolte circa 400mila firme che saranno consegnate al governo italiano affinché faccia pressioni su tutti i fronti. Certo è che rompere i piani di Israele rispetto alla sua gestione del territorio e alla politica di negazione dei diritti della popolazione palestinese non sarà semplice”.
Se Israele non si fermerà, tra pochi giorni del villaggio di Khan al Ahmar non resterà nulla e la popolazione sarà costretta a spostarsi. Il governo ha proposto un ricollocamento nell’area dell’ex discarica di Gerusalemme, vicino al villaggio di Abu Dis. Un luogo assolutamente inadatto. “Gli abitanti hanno ribadito con forza anche ieri che non vogliono andarsene dalle loro case e che resisteranno, anche per una questione di principio”.
Negli anni scorsi la loro lotta è diventata anche legale grazie all’aiuto dell’avvocato Shlomo Lecker, difensore ufficiale della comunità di Khan al Ahmar. Ma Israele ha legalizzato ogni sopruso. Lo scorso 25 maggio, quando la corte ha ufficializzato la distruzione del villaggio, le carte hanno riportato che la motivazione non sta tanto nei piani militari quando nel fatto che il villaggio è costruito senza i necessari permessi. Soltanto che per i palestinesi quei permessi sono impossibili da ottenere nelle aree controllate da Israele nella Cisgiordania occupata.
Una lotta impari che si consuma sulla pelle di uomini, donne e bambini. “I piccoli sono terrorizzati – ha raccontato ancora Barbara Archetti – è uno stress psicologico molto forte sapere che da un momento all’altro, anche di notte, può arrivare una ruspa a spazzare via la tua vita”.