Le cronache ci raccontano spesso di concorsi pilotati nelle Università e tra i casi che alla fine vengono alla luce del sole ce ne sono almeno altrettanti che non vengono taciuti. Le sentenze dei tribunali sono innumerevoli, ma sembra sempre più usanza diffusa ignorare quelle sentenze che ordinano di rifare daccapo i concorsi.
Negli ultimi mesi sono emersi casi a Pescara, dove l’Ateneo non ha rispettato la richiesta del Tribunale Amministrativo Regionale di riformulare il bando, così come a Firenze e Pisa, ma anche all’Università di Catania e quella di Tor Vergata a Roma. Uno dei protagonisti della vicenda emersa a Tor Vergata è Giuliano Gruner, avvocato amministrativista e ricercatore presso l’Ateneo romano, nonché fondatore dell’associazione Trasparenza e Merito – L’Università che vogliamo. Lo abbiamo intervistato questa mattina.
Secondo le statistiche non siamo di fronte a dei casi isolati, ma ad un sistema che continua a rimanere tale nonostante i pronunciamenti continui
Purtroppo sì, ha ragione lei. Trasparenza e Merito non è soltanto un sito, è un’associazione fondata circa sei mesi fa da una decina di docenti universitari, tutti quanti di ruolo e quindi tutti a tempo indeterminato. Ad oggi conta sui 500 iscritti e lo scopo che si propone l’associazione è quello di rivolgersi alle autorità giudiziarie competenti per episodi di mala-università, con particolare riferimento ai concorsi. Non si tratta di fenomeni isolati, ma si tratta di un fenomeno di massa che coinvolge un po’ tutte le università italiane. Il funzionamento del meccanismo più o meno è questo: i concorsi sono caratterizzati da bandi cosiddetti sartoriali, vietatissimi dalla legge, e sono bandi che individuano un profilo di candidato che attaglia perfettamente alle pubblicazioni scientifiche del predestinato. Se poi qualcuno, sentendosi leso da questo modo di fare e di agire, si rivolge alla giustizia amministrativa e magari vince anche il ricorso, nella normalità dei casi gli Atenei fanno di tutto per non dare esecuzione alle sentenze del giudice amministrativo. È un modo di fare istituzionalmente molto scorretto rispetto al quale, però, esiste un apposito rimedio che è il giudizio di ottemperanza. E infatti, come leggiamo sui giornali, molto spesso le università finiscono per essere commissariate. Il TAR esautora le università dei loro poteri, nomina un proprio commissario per dover dare esecuzione alla sentenza.
Come è possibile che questo accada? Il pronunciamento del TAR non è vincolante?
Le sentenze sono vincolati, ma loro decidono di non seguirle. E per questo è previsto il giudizio di ottemperanza, che consiste nel rivolgersi nuovamente al TAR, oppure al Consiglio di Stato se la sentenza è d’appello, e chiedere che venga data una sorta di esecuzione coattiva a questa sentenza. Certo, il fatto che a non eseguire una sentenza sia un’Istituzione pubblica, per di più una Università, lascia francamente basiti.
Sul vostro sito c’è un video in cui si riporta una conversazione che lei ha registrato. Lei, a colloquio col rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, pone la questione dei concorsi pilotati e il rettore, anche in maniera piuttosto volgare, le dice “finché io sono Rettore, lei qui non sarà mai professore“. Come è andata a finire quella vicenda?
Questo è un altro caso tutto particolare rispetto a quelli di cui abbiamo parlato finora, perchè il fenomeno che si verificava a Tor Vergata fino a poco tempo fa, e che ha coinvolto me e il collega di chirurgia generale Pierpaolo Sileri, funzionava ancora peggio: i concorsi non si facevano proprio. Pur essendo io e pur essendo il mio collega – i casi sono analoghi e congiunti – due ricercatori a tempo indeterminato, entrambi professori universitari aggregati, entrambi in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale di professore di prima fascia, il massimo livello che si può ottenere, abbiamo chiesto di partecipare a delle procedure di chiamate, una specie di valutazioni comparative, tra il personale interno dell’università. Ci è stato formalmente detto “cari ragazzi, voi non potete partecipare“. Perché? “Perché così prescrive, secondo l’università, il regolamento di ateneo sulle procedure concorsuali“. Poi è capitato che io e Pierpaolo, che poi è diventato mio compagno di battaglia, proponemmo semplicemente un ricorso al TAR per contestare il fatto che ci è stato impedito di partecipare, perchè le due procedure sono state riservate una ad un mio collega, peraltro bravissimo ma casualmente allievo diretto del pro-rettore vicario, e l’altra, quella di chirurgia generale, è stata riservata ad un unico candidato che è il figlio dell’ex direttore della scuola di specializzazione di medicina di Tor Vergata. Noi abbiamo proposto semplicemente questi due ricorsi al TAR e da lì abbiamo ricevuto tantissime minacce affinché ritirassimo questi ricorsi. È successo un putiferio all’interno dell’Ateneo e dopo aver ricevuto moltissime minacce, io sono stato convocato dal Rettore e ho ritenuto opportuno registrare la conversazione. Io il ricorso non l’ho ritirato, ho continuato a subire altre minacce e alla fine mi sono rivolto alla Procura della Repubblica di Roma denunciando il tutto, e così ha fatto anche il mio collega e amico.
La Procura ha concluso le indagini e ha chiesto il rinvio a giudizio per il Rettore del nostro Ateneo, contestandogli il reato di tentata concussione ai miei danni e di istigazione alla corruzione ai danni di Pierpaolo Sileri. L’udienza preliminare, dopo due rinvii, verrà celebrata il 2 luglio 2018.