Colpito in pieno petto nonostante il giubbotto antiproiettile con la scritta ben visibile “Press”. E’ stato ucciso così il fotoreporter Yaser Murtaja, che a trent’anni aveva già alle spalle tante esperienze di guerra sul campo come giornalista. Yaser lavorava per l’agenzia Ain Media di Gaza e stava seguendo le marce pacifiche al confine tra Gaza e Israele proprio in questi giorni di tensioni. In particolare, si trovava Khuza’a, nel sud della Striscia, quando i soldati israeliani hanno sparato sulla folla e hanno colpito anche lui, nonostante fosse ben riconoscibile come giornalista internazionale. E’ caduto, consapevole della ferita, ma quasi preoccupato più per la fotocamera.
Non se ne separava mai, era il suo strumento per raccontare quello che succedeva, per far arrivare le immagini lì dove la voce non può. E’ da quando era piccolo che voleva fare il giornalista e aveva tanto di raccontare, tra violenze, soprusi e disastri quotidiani della Striscia.
Lo incontrai a Ramallah nel 2014, durante un viaggio per realizzare un reportage dalla Cisgiordania. Mi disse che aveva lavorato tanto per comprarsi una fotocamera di alto livello, per poter realizzare materiale qualitativamente valido, utile per tv e giornali internazionali. Negli ultimi tempi, con altri colleghi, aveva fatto un investimento per acquistare un drone fotocamera, per fare riprese panoramiche e mostrare ancor meglio la situazione.
Yaser aveva frequentato la Al Karmel High School, che forma i giornalisti sul campo e poi, nel 2012, insieme ad altri amici, aveva fondato la Ain Media, una società giornalistica che copre tutti i principali eventi non solo a Gaza ma in tutta la West Bank. Yaser non è morto sul colpo, ma solo dopo qualche ora e la notizia è rimbalzata sui social media di tutta la Palestina per poi rompere i confini e arrivare ovunque. In poche ore la sua foto sorridente è comparsa sulle bacheche Facebook e su Twitter: per i palestinesi è già un martire.
Nella Manara Square di Ramallah gli amici hanno organizzato una giornata di protesta, perché nessuno vuol far passare sotto silenzio la sua morte. Yaser, infatti, è solo l’ultimo di una lunga serie di giornalisti palestinesi uccisi dalle forze israeliane, incuranti della risoluzione 2222 delle Nazioni Unite, anche se numeri certi sulle vittime non ne ha neanche il sindacato. Sicuramente negli scontri di ieri, i soldati israeliani hanno ferito anche altri sette giornalisti palestinesi
Venerdì 6 aprile, insieme a Yaser sono state uccisi altri 9 palestinesi. In totale, quindi, sono 41 i morti dal 30 marzo, quando è cominciata la “grande marcia del ritorno” organizzata nell’anniversario -nell’interpretazione storica dei palestinesi- dell’esproprio delle terre arabe per creare lo Stato di Israele nel 1948. Le proteste dureranno fino al 15 maggio, anniversario della fondazione di Israele, giorno in cui i palestinesi ricordano la “Nakba”, ovvero “catastrofe”, quando migliaia di persone furono costrette a lasciare le proprie terre e le case per non potervi tornare mai più.