Dragan Janjić, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa dalla Serbia e caporedattore dell’agenzia di stampa Beta, è l’ultimo giornalista di una lunga serie che è finito alla pubblica gogna, accusato di essere un traditore del Paese. Contro di lui si è innescata una campagna diffamatoria che l’ha reso un bersaglio di nazionalisti ed esaltati. E sta vivendo questi giorni con l’angoscia di essere picchiato o peggio.
“Sono spaventato, non molto, ma sono spaventato perché qualcuno ha postato la mia foto su una pagina FB su cui c’era scritto ‘questo è il tipo che odia tutto quello che è serbo’. Ovviamente non è piacevole, ho paura di ciò che può accadere per strada o in qualunque altro posto. Anche la mia famiglia è spaventata”.
La campagna diffamatoria si è scatenata dopo che Janjić ha definito la morte dell’amico Oliver Ivanovic, uno dei leader serbi del Kosovo, un omicidio politico.
“Quello stesso giorno il presidente della Serbia Vucic ha indetto una conferenza stampa e ha detto che io, altri giornalisti e partiti dell’opposizione abbiamo accusato la Serbia di aver ucciso il nostro leader, anche se non è vero, non l’ho detto. Poi su FB è stata postata la mia foto con il titolo ‘questo è l’aspetto dell’uomo che odia tutto quello che appartiene alla Serbia’. Il problema non è tanto il post su FB ma il fatto che tutto è successo dopo il discorso del presidente serbo. È questo che mi imbarazza perché secondo me il governo ha il dovere di proteggere la libertà di parola, i media, i giornalisti e non dovrebbe prenderli di mira. Se il presidente ti prende di mira, diventa pericoloso ed è questo che mi fa arrabbiare e che mi spaventa”.
Ora Dragan Janjić aspetta che il pubblico ministero lo convochi per una dichiarazione, ma non si aspetta giustizia.
“Se anche troveranno chi ha mandato questo messaggio con la mia foto, le cose non cambieranno in Serbia finché non cambieranno le attitudini delle autorità verso i giornalisti e i media. Chiunque dica qualcosa che a loro non piace, una critica o qualsiasi altra cosa, lo ritengono un attacco contro di loro, dicono che sei un traditore, un bugiardo e cose del genere. Non è un buon clima e stiamo combattendo per cambiarlo. Sono molto grato per il supporto dei miei colleghi e delle associazioni di giornalisti”.
Nell’ultimo periodo le minacce ai giornalisti stanno aumentando e per tutti l’accusa è sempre la stessa “nemici della Serbia”. Nei giorni scorsi anche un’altra giornalista Una Hajdari è stata minacciata di morte sui social network solo per aver scritto un tweet sarcastico sul presidente Vucic.
“Noi resistiamo, ma spero che questa pressione possa influenzare la situazione e costringere le autorità a cambiare attitudine”.
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Questa intervista fa parte del progetto European Centre for Press and Media Freedom, a cui contribuisce Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, e di cui Radio Popolare è Media Partner.