Matteo Salvini è il piccolo opportunista della politica italiana che con la sua insipienza culturale e il suo cinismo politico sta aprendo le porte ai fascisti.
Nella Milano di Mani Pulite interpreta il vento antisistema che inizia a spirare con forza nella maniera più regressiva: facendo carriera nella Lega Nord cui si iscrive meno che ventenne. Diventa subito consigliere comunale e poi leader dei “giovani padani” a colpi di felpa. “Padania is not Italy” era la sua preferita.
Ma sempre restando simpatico. Nella Lega dei raduni di Pontida, Salvini era quello sbarazzino, anticonformista, persino un po’ di sinistra.
Una immagine con cui ha giocato per anni: l’orecchino, la cravatta verde allentata sulla camicia bianca, qualche birra al bar di un centro sociale messa nel curriculum politico. In tanti, gli davano credito. Salvini era un brillante conduttore di Radio Padania, aveva una battuta per tutti. Anni luce di distanza rispetto al clima greve che si respirava in via Bellerio, la sede della Lega, tra i proclami fascistoidi di Borghezio, le passeggiate anti islam di Calderoli coi maiali, l’ostilità per ogni diversità, dai gay agli immigrati.
Tutto questo è terminato quando Salvini è diventato il segretario della Lega e si è convinto che un quarantenne come lui avrebbe potuto ambire a qualcosa di più che a guidare un partito regionale all’interno di una coalizione di centrodestra.
Salvini voleva fare il leader. Ma gli serviva un partito nazionale. Il solo modo per ottenerlo era spostarsi all’estrema destra e alimentare il vento che soffiava da noi come in tutta Europa. Mandato a casa il vecchio fondatore, non è stato un problema rottamare i simboli nordisti, sdoganare le pulsioni più a destra già presenti nella Lega, e operare la trasformazione di se stesso nel Le Pen italiano.
Con la medesima spregiudicatezza con cui in passato affermava di essere un frequentatore del Leoncavallo, è diventato un nazionalista, un “sovranista” -come va di moda dire oggi- uno che usa espressioni quali “sostituzione etnica” per definire l’immigrazione e che scambia effusioni politiche con Casapound. Uno che di Mussolini ha detto: “fece tante cose buone”.
Salvini incarna il peggiore spirito piccolo borghese che rappresenta la pancia del nostro Paese. Una pancia che conosce e sa come solleticare e stimolare perché a quella pancia appartiene. Oggi Salvini è ancora consigliere comunale di Milano, anche se frequenta raramente lo scranno di Palazzo Marino, ma è molto cambiato rispetto ai primi anni della sua carriera. Non sorride più. Afferma cose tremende come “mi occupo di vivi, non di morti” a proposito del testamento biologico. E legittima i fascisti sulla scena politica. Anche i più duri, come il Veneto Fronte Skinhead. Perché quando dice: “il problema dell’Italia è Renzi, non i presunti squadristi” in merito all’aggressione di Como e alle successive parole di condanna del segretario del Pd, questo fa: porta a termine il definitivo sdoganamento dei fascisti in Italia dopo la Liberazione. Una operazione che ebbe inizio, politicamente, nel 1993 quando Berlusconi proclamò: “a Roma, tra Rutelli e Fini, voterei Fini”.
Non male, per l’ex ragazzo che si presentò alle elezioni interne della Lega secessionista con la lista dei “comunisti padani”