Sari multicolore, sorriso e sguardo determinato. L’attivista indiana Vandana Shiva con la stessa passione parla alle platee di giovani e ai meeting istituzionali. L’abbiamo incontrata a Bergamo, durante il G7 dei ministri dell’agricoltura. Ha parlato di economia circolare, di agroecologia e della necessità di abbandonare la strada della produttività ad ogni costo, intrapresa in questi anni. Vandana Shiva è nel comitato scientifico del Tribunale internazionale Mosanto, si batte da anni contro la proprietà intellettuale delle sementi ed è presidente di Navdanya, un progetto di appoggio ai contadini indiani che scelgono di praticare la biodiversità.
Che relazione c’è tra la biodiversità e il cambiamento climatico?
“Perché c’è il cambiamento climatico? Perché abbiamo emesso troppi gas serra, oltrepassando la capacità della Terra di riciclarli. Abbiamo scaricato troppa anidride carbonica, troppo protossido di azoto e troppo metano. Quando prendiamo questi tre gas scopriamo che il 50% proviene dal sistema globale del cibo prodotto a livello industriale. E questo sistema si basa su carburanti fossili, su prodotti chimici che provengono da carburanti fossili. E per il funzionamento di un sistema ad alti input chimici c’è bisogno di monocolture. Dal punto di vista biologico le monocolture sono molto povere. Non riescono a raccogliere abbastanza luce solare, non hanno una produttività efficace, hanno bisogno di dieci volte l’energia che riescono poi a trasformare in cibo. Per questo si ha un’entropia. Per questo si producono rifiuti. L’agricoltura basata sulla biodiversità fa a meno della chimica, fa a meno dei carburanti fossili. Quando si pratica la biodiversità non si producono rifiuti, la diversità garantisce il controllo sulle erbacce e quindi non serve il glifosato. Quando c’è diversità non c’è bisogno di pesticidi perché la varietà delle piante comporta una molteplicità di insetti e sono loro a garantire il controllo sui parassiti. Quindi tutti i prodotti chimici possono essere rimossi coltivando diversità biologica. Inoltre più c’è biodiversità nel sistema più carbonio viene fissato attraverso la fotosintesi. Più c’è biodiversità più il sole sarà in grado di convertire l’anidride carbonica in carbonio organico che assumiamo tramite il cibo e in parte torna al suolo. Tutto questo insieme avrebbe il potere di rimuovere i gas serra dall’atmosfera in 20 anni, se tutto il mondo si convertisse al biologico e garantisse la biodiversità. Nelle nostre fattorie abbiamo appena completato questi studi. Il 100% in più di materia organica, ovvero 2,2 tonnellate per ettaro. E’ tutto quello che ci serve. Se il mondo coltivasse in questo modo si potrebbero eliminare i gas serra in eccesso. E questa è l’unica possibilità di affrontare il cambiamento climatico”.
Molti sostengono la necessità di una nuova Rivoluzione Verde, che aumenti la produttività agricola, per combattere la fame. Lei che ha vissuto in prima persona le Rivoluzione Verde in India, cosa pensa?
“Mi sono impegnata nell’agricoltura a causa di ciò che la Rivoluzione Verde ha fatto al Punjab. Ha ottenuto il premio Nobel per la Pace ma il Punjab è diventato terreno di guerra. Nel 1984 ci fu così tanta violenza che 30.000 persone vennero uccise. 7.000 persone vennero uccise quello stesso anno a Bhopal a causa delle emissioni fuoriuscite da un impianto di pesticidi. Questo è il motivo per cui ho cominciato a osservare l’agricoltura e studiare la Rivoluzione Verde. In uno studio che feci per l’Università delle Nazioni Unite che divenne un libro Le violenze della Rivoluzione Verde per prima cosa scoprii che non stavano producendo di più. Stavano coltivando merce. Oggi stiamo coltivando merce come mais e soia. Tutta l’Europa sta coltivando mais. E’ per scopo alimentare? No, il 90% del mais e della soia è per produrre biocarburanti e per gli animali quindi è una bugia che un sistema basato sulla chimica, sui carburanti fossili e sulle monocolture possa risolvere il problema della fame. Sta generano fame perché non coltiva cibo. Sta generando malnutrizione perché non sta producendo nutrienti ma cibo vuoto. Sta generando malattie a causa dei prodotti chimici e della deficienza nutrizionale. Non sta sfamando il mondo. Una seconda Rivoluzione Verde è ancora peggio della prima perché è più spericolata. Almeno nella prima rivoluzione verde c’erano gli stati. La seconda è dominata da un cartello di tre soggetti. Monsanto si è fusa con Bayer, Syngenta con Chem China e Dow Chemical con Dupont. Un cartello di tre non ha nella sua agenda sfamare il mondo! Hanno solo un obiettivo: il profitto ad ogni costo”.
Lei è parte del Tribunale Internazionale della società civile che ha condannato Monsanto per ecocidio. Esistono strumenti per contrastare il potere delle multinazionali?
“Ci sono già leggi che hanno permesso di contrastare Monsanto. Mi impegno direttamente come cittadina sostenendo il governo quando agisce, perché ogni volta che un governo si mobilita Monsanto lo minaccia. A quel punto devo intervenire per dire che il governo ha fatto la cosa giusta nel regolare i prezzi delle sementi, nel non approvare brevetti, nel migliorare la sicurezza dei contadini. Esistono leggi che possono impedire alcune azioni. Manca però un’articolazione del crimine di ecocidio. Perché quello in cui è coinvolto il cartello velenoso dei tre è l’uccisione del pianeta: le api, le farfalle, gli organismi che si trovano nel suolo, gli animali. Ma non solo, sono coinvolti anche nell’uccisione dei contadini, attraverso l’imposizione dei brevetti e l’indebitamento che spinge molti di loro al suicidio. Hanno venduto una bugia, e questo è di per sé un crimine, perché il cotone BT di Monsanto ha fallito nel controllo delle malattie e ha aumentato l’uso dei pesticidi. Solo oggi 8 contadini in India sono morti ingerendo il veleno dei pesticidi. Il governo ha annunciato di voler procedere con l’accusa di omicidio colposo. Agire contro le compagnie che vendono pesticidi non è abbastanza, bisogna agire anche contro le compagnie che vendono ogm dicendo che non necessitano pesticidi. Per questo abbiamo bisogno di sempre più tribunali. Trent’anni fa ho cominciato a conservare sementi a causa di Monsanto e delle altre compagnie e loro dissero che avrebbero comprato la proprietà di ogni seme, che avrebbero raccolto le royalties e che ogni semente sarebbe diventata ogm. Quello fu il giorno in cui decisi che il nostro cibo e la nostra salute sono una questione di democrazia. Non permetteremo la distruzione del sistema alimentare: per questo conserviamo le sementi. Così abbiamo cambiato le leggi e oggi abbiamo buone norme. Credo sia importante difendere i paesi che non hanno ancora queste leggi e istituire il reato di ecocidio e di genocidio per le morti provocate dal cartello dei tre. Il genocidio, infatti, non ha solo un’accezione etnica: è la volontà deliberata di provocare danno. Per il danno provocato deliberatamente ai contadini, a coloro che hanno utilizzato il glifosato e si sono ammalati di cancro. E’ tutto pubblico ora grazie ai Monsanto Papers: sapevano che avrebbe provocato il cancro. Questo è provocare un danno in modo deliberato”.
L’Unione Europea si prepara ad una riforma della politica agricola comune. Secondo lei in che direzione dovrebbe andare?
“La Politica Agricola Comune è illegale perché nel 2013 avrebbero dovuto bloccare tutti i sussidi. E’solo una politica di sussidi. Ma a chi danno i sussidi? al cartello dei veleni, all’agribusiness. I sussidi stanno distruggendo l’agricoltura e il diritto al cibo. La cosa più urgente? La revisione e la riforma della Politica Agricola Comune deve andare nella direzione dell’agroecologia, dell’agricoltura sociale, dell’accesso alla terra e dell’economia circolare. E’ il momento per la UE di chiudere con la PAC che sostiene l’ecocidio della terra e il genocidio dei contadini”.
Che ruolo abbiamo nel cambio di paradigma?
“Penso che abbiamo raggiunto il momento in cui tutti i cittadini devono impegnarsi nella questione del cibo. I contadini sono molto importanti perché producono, ma lo sono anche coloro che mangiano. Dopotutto il 75% delle malattie più diffuse proviene da cibo cattivo. E’ il momento per tutti i cittadini di unire le forze con i piccoli contadini locali, biologici creando comunità alimentari. Né il contadino può perdere il suo stile di vita, né il consumatore può perdere la sua salute. Entrambi devono lavorare ad un progetto comune di democratizzazione del cibo”.