Migliaia di ragazze e ragazzi in piazza questa mattina a Palermo nel giorno del 25esimo anniversario della strage di Capaci. C’erano i giovani palermitani, ma anche quelli arrivati nel capoluogo siciliano con la “Nave della legalità”, partita ieri sera da Civitavecchia.
Solo una parte di loro era già nata quel 23 maggio del 1992 quando il tritolo di Cosa Nostra fecero saltare in aria le auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone e sua moglie, la magistrata Francesca Morvillo, insieme a tre agenti di scorta: Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Per quella strage di Capaci sono stati condannati definitivamente all’ergastolo Salvatore Riina, Bernarndo Provenzano e tutti i componenti della cosiddetta commissione provinciale di Cosa nostra.
Ancora oggi, a distanza di 25 anni ci si interroga se quella strage fu opera solo di Cosa Nostra. Per Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo, membro del pool antimafia nel 1991, restano “rilevanti zone d’ombra…C’è un cumulo di fonti processuali che convergono nel far ritenere che la strategia stragista del 1992-93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali” (Fatto Quotidiano, 23.5.17).
La stessa domanda, “fu solo mafia?”, se l’è posta anche Pietro Grasso, presidente del Senato, ex procuratore antimafia, giudice a latere nello storico maxiprocesso a Cosa nostra del 1986, in un suo libro uscito di recente (“Storie di sangue, amici e fantasmi”, Feltrinelli 2017).
“Abbiamo tanti punti che sono stati accertati – dice Grasso – e che danno l’idea di una qualche presenza esterna oltre alla mafia, che per certo si è occupata delle stragi sul piano operativo” (intervista a Repubblica, 18.5.17). Grasso in quell’intervista parla di “un’economia criminale che sarebbe stata combattuta con tutte le forze possibili” se Falcone e Borsellino non fossero stati uccisi.
Il riferimento generico di Grasso all’”economia criminale” assume contorni più definiti in un libro, che sta per uscire in questi giorni, scritto da Nando dalla Chiesa, sociologo e docente di Sociologia della criminalità organizzata alla Statale di Milano. Il libro si intitola “Una strage semplice” (Melampo, 2017).
dalla Chiesa va in profondità nella ricerca di una risposta – sul piano storico e sociologico – alla domanda “fu solo mafia?”. Da “Una strage semplice” emerge che Capaci e via d’Amelio sono state un’unica strage, non riconducibile alla sola sete di vendetta di Cosa nostra, né ad un affare di servizi segreti o di ricerca di nuovi referenti politici da parte della mafia. Nella “doppia strage”, come la definisce dalla Chiesa, si è manifestata una combinazione irripetibile di elementi a cui va aggiunto l’intreccio tra mafia e gruppi al confine dell’economia legale, tra gli “imprenditori amici del Nord” e gli “amici del sud”.
Nando dalla Chiesa è stato ospite a Memos.
Ascolta tutta la puntata di oggi
Per ragioni di spazio nella puntata di oggi non è andata in onda un’intervista con Alfredo Galasso, avvocato di parte civile in molti processi di mafia, tra cui il maxiprocesso contro Cosa Nostra degli anni ‘80. Galasso dà una sua risposta all’interrogativo “fu solo mafia?” e affronta il tema dei rapporti tra mafia e imprenditoria al Nord (A.Galasso-A.Siino, “Mafia, vita di un uomo di mondo”, Ponte alle Grazie, 2017).
Qui l’intervista ad Alfredo Galasso