L’ultima carta per dare un po’ di respiro all’economia venezuelana è un nuovo accordo con la Cina. Finanziamenti e agevolazioni per ripagare debiti e interessi. Negli ultimi dieci anni Pechino ha prestato a Caracas oltre 50 miliardi di dollari, in cambio di rifornimenti petroliferi. L’accordo non sarà però sufficiente a rimettere in carreggiata l’economia venezuelana che sta vivendo la peggiore crisi dagli anni ’90.
Lo scorso anno, il secondo in recessione, il pil è calato di quasi il 6%. E il 2016 dovrebbe andare ancora peggio. Comprare cibo è sempre più difficile. L‘inflazione è arrivata al 180% mentre alcuni prodotti non si trovano proprio più. Il Venezuela importa quasi tutto.
Per risparmiare energia il governo ha ridotto al minimo le ore di lavoro dei dipendenti pubblici e ha chiesto al settore privato di fare lo stesso. Le riserve petrolifere, tra le più ricche al mondo, sono quasi una beffa. L’energia si produce infatti con le centrali idroelettriche, bloccate dalla grave siccità di questi ultimi mesi.
La crisi non è solo economica. Il governo, sempre più debole, non ha più il controllo della società. Secondo le cifre ufficiali fornite dalla magistratura nei primi tre mesi dell’anno ci sono stati quasi 5mila omicidi. Se la cifra fosse vera si tratterebbe di un numero più alto delle vittime civili in Afghanistan. Per evitare furti la gente farebbe addirittura le lunghe code per comprare i beni di prima necessità senza soldi.
Una situazione non più sostenibile, e secondo il presidente Nicolas Maduro risultato di un complotto interno e internazionale. Il capo dello stato ha appena dichiarato 60 giorni di stato d’emergenza, durante i quali avrà il potere di intervenire ancora di più nel sistema economico, già fortemente centralizzato.
L’economia venezuelana dipende quasi interamente dal petrolio. Il calo del prezzo del greggio negli ultimi due anni è quindi uno dei motivi di questa crisi, ma non è l’unico. La rivoluzione bolivariana di Chavez (ai suoi tempi acclamato dalla sinistra europea come l’eroe del nuovo millennio) ha tolto dalla povertà milioni di persone, ma i suoi progetti non sono mai stati strutturali. Gli hanno garantito sostegno politico e appoggio elettorale, ma non hanno messo in piedi un sistema economico produttivo, in grado di reggere anche in momenti difficili come questo.
Ai tempi del boom petrolifero, per consolidare la sinistra latinoamericana, Caracas finanziò diverse progetti nei paesi vicini (Bolivia, Cuba, Argentina). Secondo i critici grossi investimenti a fondo perduto per puri interessi politici.
Adesso questo grosso errore potrebbe costare caro a Nicolas Maduro, che oltre a non avere il carisma del suo predecessore è arrivato al potere in un momento difficilissimo. L’opposizione, che dallo scorso dicembre controlla il parlamento, sta raccogliendo le firme per convocare un referendum revocatorio. Non è ancora chiaro se e quando si voterà. Oggi ci saranno nuove manifestazioni di piazza. In ogni caso, in un paese dove stanno sparendo anche i servizi pubblici un tempo fiore all’occhiello della rivoluzione, l’attuale presidente non ha più credibilità.