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Armi italiane, export esplosivo

Export “esplosivo”. L’esportazione di armi italiane nel mondo, nel 2015, ha segnato un fortissimo salto in avanti, con un incremento del 186 per cento rispetto al 2014. L’Italia, oltre le armi leggere, esporta soprattutto aerei, navi da guerra, missili, bombe. Una parte di queste armi finisce ai paesi in guerra o che violano i diritti umani, tra cui l’Egitto.

“Nel 2015 il valore globale delle licenze di esportazioni di armi, ha superato gli otto miliardi di euro, esattamente 8.247.087.068 rispetto ai 2.884.007.752 del 2014″.

Un dato clamoroso, anticipato da Nigrizia che ha avuto modo di leggere in anteprima i dati contenuti nella Relazione sulle operazioni autorizzate di controllo materiale di armamento 2015, consegnata il 18 aprile scorso dal sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri e alle commissioni di Camera e Senato.

“Le sole licenze di esportazione definitiva (esclusi quindi i gettiti da intermediazione e le licenze globali di programma) – si legge nella Relazione – hanno raggiunto i 7.882.567.504 di euro, rispetto ai 2.650.898.056 (+197,4 per cento) del 2014. L’anno scorso, le autorizzazioni definitive all’export sono state 2.775 contro le 1.879 del 2014 (+ 47,7 per cento)”.

Gianni Ballarini, del mensile Nigrizia, esperto del settore armamenti, sta analizzando la Relazione governativa. Un documento corposo, di circa 2 mila pagine.

Ballarini, in anteprima, ci fornisce alcuni dati che aiutano a capire cosa sta succedendo nel mercato delle armi italiano. Dati che saranno arricchiti da Nigrizia con un approfondimento del ruolo delle cosiddette “banche armate”.

“Sto proprio lavorando su questo, sto esaminando le carte”, ci dice Ballarini mentre iniziamo la conversazione.

Quali sono le principali aziende italiane che beneficiano di questo boom di produzione di armi del 2015?

Soprattutto del gruppo ex Finmeccanica, che dal 1° gennaio 2017 si chiamerà Leonardo. In testa alla classifica troviamo Alenia Aermacchi e al secondo posto la Agusta Westland, che da sole hanno venduto, nel 2015, oltre 4,5 miliardi di euro di armi (prevalentemente aerei): un valore pari a oltre il 58 per cento delle aziende italiane. Per fare un confronto con il 2014, le due compagnie citate avevano venduto poco più di un miliardo.

Dove vengono spedite le armi prodotte in Italia?

Più del 62 per cento a Paesi della Unione europea e della Nato. Ma in valori assoluti è cresciuto in modo esponenziale anche il commercio con paesi del sud del mondo, in particolare di Asia e Medio Oriente. In Africa, che rimane un continente marginale per i gruppi italiani, si è comunque passati da 96 milioni a oltre 241.

Che tipo di armi esportiamo?

Soprattutto aerei, navi da guerra, missili, bombe. Nell’elenco troviamo anche la Rwm Italia, filiale dell’azienda tedesca Rheinmetall e che ha la sua sede a Brescia. Azienda denunciata in due procure italiane dai gruppi pacifisti italiani per la sospetta vendita alla Royal Air Force saudita delle sue bombe aeree. Le sole licenze di esportazione definitiva (esclusi quindi i gettiti da intermediazione e le licenze globali di programma) hanno raggiunto i 7.882.567.504 di euro, rispetto ai 2.650.898.056 (+197,4 per cento) del 2014. L’anno scorso, le autorizzazioni definitive all’export sono state 2.775 contro le 1.879 del 2014 (+ 47,7 per cento).

I suluri subacquei di Finmeccanica C310
I suluri subacquei di Finmeccanica C310 – dal sito finmeccanica.it

Parliamo in particolare di Singapore e Taiwan, dove c’è stata una impennata di acquisti di armi italiane: è possibile che questi due Paesi siano realtà di transito delle armi italiane, le cosiddette ” triangolazioni”?

Il dubbio è legittimo. Non sono infatti Paesi che in passato abbiano acquistato un monte d’armi così rilevante. Tuttavia, per un giudizio più accurato, bisogna analizzare bene e con calma le migliaia di pagine contenute nella Relazione governativa, incrociando decine se non centinaia di dati.

Vendiamo armi anche a Paesi in guerra?

Nella classifica dei primi 10 Paesi, troviamo nazioni come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, impegnati, direttamente o indirettamente, in diversi fronti di guerra come il conflitto nello Yemen, o nel teatro siriano. Nel 2015, solo Riad ha speso complessivamente (quindi ben oltre lo shopping in Italia) 87 miliardi per armamenti e operazioni militari: un tentativo di affrontare la minaccia iraniana e le nuove sfide geopolitiche. Nella lista italiana ci sono poi anche Pakistan, Turchia, Russia, Iraq.

E le esportazioni italiane vanno anche nei Paesi che violano i diritti umani?

Certo. A parte quelli appena citati, troviamo nazioni come l’Egitto del generale Al-Sisi, il Bahrein, il Qatar, l’Algeria. L’elenco è lungo.

Fermiamoci in Africa. Cosa è cambiato nella nostra esportazione di armi in quest’area del mondo?

Il dato più sorprendente riguarda l’Africa Subsahariana, che per la prima volta negli ultimi 10 anni (ma credo anche prima, se si analizzano le Relazioni degli ultimi 20 anni) supera i Paesi della sponda sud del Mediterraneo nell’acquisto di armi italiane. Si vende di più e a più Paesi. Anche se spicca il dato dello Zambia che da 0 è passato a 98,3 milioni di euro. Se si considerano solo i paesi extra Ue-Nato, Lusaka si colloca all’11° posto, con un 3,34 per cento complessivo della torta.

Cosa sono quelle che definite “banche armate”?

Le banche di appoggio delle aziende italiane. I dati della Relazione segnalano quante volte e per quali importi una banca accredita sui conti correnti a un proprio cliente i soldi guadagnati vendendo armi all’estero.

Che banche sarebbero coinvolte?

Una precisazione: dal marzo 2013 gli istituti di credito non sono più obbligati a chiedere l’autorizzazione del Mef (Ministero economia e finanza, ndr). Ora basta una loro semplice comunicazione via web delle transazioni effettuate. Una sburocratizzazione dell’iter che ha accontentato le esigenze delle banche. Meno quelle della società civile, che preferiva un controllo preventivo pubblico su queste attività tramite lo strumento delle autorizzazioni. In base alle segnalazioni, nel 2015 i primi tre istituti di credito sono Deutsche Bank, il Crédit agricole e il Gruppo Unicredit. Da soli rappresentano quasi il 55 per cento del totale. Ma se si considerano anche i dati di Barclays Bank e Intesa San Paolo, si arriva al 71 per cento.

Fucili_radiopopolare

Un altro fronte è quello delle “armi comuni”, non militari . Un mercato analizzato da Opal, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa, che ha elaborato, in aprile, i dati dell’Istat sulle esportazioni, per il 2015, di armi dall’Italia e da Brescia.

L’Italia si conferma il principale esportatore tra i Paesi dell’Unione Europea. Con quasi 307 milioni di euro di esportazioni precede la Germania e la Croazia , ma nel computo mancano le esportazioni di pistole e revolver dell’Austria che, nonostante sia uno dei maggiori esportatori mondiali , inspiegabilmente non fornisce i dati a Eurostat”.

Si tratta di armi prevalentemente per la difesa personale, per le discipline sportive e per le attività venatorie. Ma- fa osservare Opal- tra le armi comuni sono comprese anche quelle esportate per l’utilizzo da parte di corpi di polizia e delle forze di sicurezza pubbliche e private.

“Vanno segnalate, anche nel 2014 le consistenti forniture, principalmente dalle province di Brescia e di Urbino, di armi destinate al Messico, Libano, Marocco e Oman: paesi i cui corpi di polizia sono stati spesso denunciati dalle organizzazioni internazionali per le reiterate violazioni dei diritti umani. Opal segnala poi le esportazioni di armi comuni verso l’Egitto.

“Il governo Renzi, dopo aver autorizzato nel 2014 la spedizione in Egitto di più di 30mila pistole prodotte nella provincia di Brescia, nel 2015 ha autorizzato la fornitura di 3.661 fucili in gran parte prodotti da un’azienda della provincia di Urbino: autorizzazioni rilasciate nonostante sia tuttora in vigore la decisione del Consiglio dell’Unione europea  di sospendere le licenze di esportazione all’Egitto “di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”. L’Italia risulta l’unicoPaese dell’Unione europea ad aver fornito nel biennio 2014-15 sia “pistole e revolver” che “fucili e carabine” alle forze di polizia del regime di Al Sisi.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    I paesaggi della Vacca Rendena è un presidio Slow Food tra l’omonima valle trentina che dà il nome alla razza e all’Altopiano di Asiago, in Veneto. Un animale molto adatto all’allevamento in montagna, tanto da avere anche il soprannome di bovino per la pace. Un appellativo dovuto alla capacità di questa vacca di adattarsi anche ai Balcani, dove, al termine della guerra nella ex Yugoslavia, era stata introdotta nella cooperazione per la ricostruzione. Il termine Equilibrio, come i prati stabili alpini, per Le parole dell’agroecologia del professore Stefano Bocchi dell’Università Statale di Milano. I prezzi dei fertilizzanti azotati sui mercati internazionali dopo il boicottaggio di quelli russi e bielorussi per la guerra all’Ucraina nelle Multinazionali del cibo, queste sconosciute di Andrea Di Stefano. La recensione del libro “9 miliardi di pasti a tavola” sull’agricoltura digitale nelle Storie Agroalimentari di Paolo Ambrosoni. Formaggi e territorialità. In Francia lo studio dei terroir è importante anche per le produzioni lattiero casearie di Samuel Cogliati Gorlier. Racconti di alcuni formaggi e loro alpeggi: zigher e fodom delle valli ladine delle Dolomiti, presidio Slow Food; il Tombea e le orchidee della Val Vestino, Lombardia orientale tra il Lago d’Idro e il Garda Bresciano; e il Bettelmatt dop della Piemontese Valdossola, al confine con il Vallese e il Canton Ticino. Per gli autori fuori porta, geografie e storia dei paesaggi lombardi del Teatro Franco Parenti, con il supporto della Regione Lombardia, due brani delle Georgiche di Virgilio, uno dedicato alle antiche coltivazioni di lino, un altro ai vigneti. Selezionati dall’agricoltore filologo Niccolò Reverdini, letti dall’attrice Anna Nogara nella Sala degli Arazzi del Castello Sforzesco di Milano, durante una messa in scena di Marco Rampoldi.

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