Chissà se si conoscono Ken Loach e Woody Allen, se si frequentano, se parlano dei sindaci delle loro città, di politica e di punti fermi che ancora resistono. Se non lo fanno loro, sicuramente dialogano tra loro i film che, seppur diversissimi, ci ricordano quali sono i valori e i temi importanti che ha senso seguire. I, Daniel Blake, in concorso a Cannes 2016, arriva due anni dopo Jimmy’s Hall e ci riporta in anni contemporanei, sempre nelle zone della Gran Bretagna amate da Ken Loach. Anni devastati dalla crisi, in cui lo stato sociale è andato in pezzi, la dignità umana non ha più valore e a precipitare negli abissi ci vuole un attimo.
Daniel è un uomo di 60 anni, ex artigiano e muratore, vedovo e malato di cuore, non può lavorare per infermità e fa domanda per l’indennità. Una domanda senza risposte, bloccata dalla rigidità della burocrazia e dall’ottusità degli impiegati. Daniel, il bravissimo Dave Johns, ci prova ogni giorno, passando ore al telefono in attesa di un operatore o perdendo tempo a rispondere a domande fuorvianti e scontrarsi con l’insensatezza di una situazione senza via d’uscita. E nella stessa situazione imperscrutabile si trova anche Rachel (Hayley Squires), ragazza madre con due bambini, senza lavoro e senza casa con cui Daniel crea un legame profondo di assistenza e solidarietà. “Il punto di partenza è l’attitudine deliberatamente crudele nel mantenere la gente in uno stato di povertà e l’inefficacia volontaria dell’amministrazione come arma politica”, spiega Ken Loach. Scritto ancora una volta con Paul Laverty, il film è stato scritto grazie ad una documentazione accurata, incontrando persone, incrociando dati e esperienze. La precisione della scrittura, la leggerezza dei dialoghi che nasconde un dramma sociale spaventoso, la capacità di far sparire la macchina da presa, la bravura degli attori, le scelte stilistiche e dei luoghi hanno reso il film realistico senza dover ricorrere al documentario. È un film di Ken Loach, riconoscibile come lo è un film di Woody Allen.
In questo incontro cinematografico immaginato tra Ken e Woody, vorrei invitare anche Marco Bellocchio, in transito sulla Croisette con il film che ha inaugurato la Quinzaine des Realisateurs Fai bei sogni. Tratto dal libro omonimo di Massimo Gramellini, scritto da Edoardo Albinati e Valia Santella, interpretato da Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo, porta con sé molti temi cari a Bellocchio. Dalla madre alla morte, declinati come solo il regista de I pugni in tasca sa fare. “Questa storia mi ha colpito molto ed emozionato perché evoca numerosi temi che ho già affrontato in altri film: la famiglia, la madre, il padre, l’appartamento in cui si svolge metà del film, in differenti epoche, quasi trent’anni in cui l’Italia cambia radicalmente e osservata dalle finestre”, svela Bellocchio.
Ecco la coerenza di tre maestri del cinema in tre zone differenti del globo che riescono a rinnovarsi senza mai tradire se stessi.