Francesco Motta è tornato a trovarci. L’ultima volta era stato per promuovere il secondo album della band di cui era voce e chitarra, i Criminal Jokers. Questa volta, invece, è venuto da solo.
Da solo fatto anche il suo disco La fine dei vent’anni, un album che sta riscuotendo un grande, meritatissimo, interesse in queste settimane. Ma lui, nell’intervista che ha accompagnato il suo minilive in diretta su Popolare Network, che potete riascoltare per intero qui sotto, mi ha corretto: “Non sono mai stato da solo, lavorando su questo disco. In particolare con me c’era Riccardo Senigallia, uno che citerò spesso in questa intervista”.
Il musicista e produttore romano, oltre a essere un uomo dalla grandissima esperienza, ha anche più volte dimostrato di saper fare emergere le caratteristiche migliori degli artisti con cui lavora. Anche nei modi meno prevedibili: “Una sera io e Riccardo eravamo usciti a bere qualcosa. Stavamo parlando di colonne sonore e gli ho citato un disco di canti mozambicani contro la resistenza portoghese di quando mio padre era un comunista. E lui mi ha risposto: ‘scrivi un pezzo che si chiami Mio padre era un comunista‘. Per cui possiamo dire che quel pezzo sia un’idea sua”.
Francesco Motta spiega con poche parole anche la decisione di fare un disco solista, senza i Criminal Jokers: “In realtà avevo bisogno di incanalare il mio modo di scrivere canzoni in un’altra maniera, quello che c’era prima era una specie di adolescenza, c’era una magia che piano piano è sfumata per lasciare posto ad altro”. E se gli si chiede di quel suono aggressivo e punk che caratterizzava la band, aggiunge: “Io mi sento più punk adesso, ora che riesco a incanalare quell’energia in modo più consapevole. Ci sono più dinamiche in questo disco, ora che ci sono sia piano che forte, il forte è diventato fortissimo”.
Questo e molto altro nell’intervista con Francesco Motta, che ci ha anche suonato tre canzoni in versione acustica, chitarra e voce. Potete ascoltare la puntata di MiniSonica integrale (25 min.) cliccando sul play qui sotto