A meno di un mese dal referendum sulle trivelle, il movimento No Triv sta cercando di far crescere la mobilitazione per superare il vero scoglio del 17 aprile: il raggiungimento del quorum. I comitati contro le trivellazioni in mare sono molti, diffusi a livello locale e riuniti nel Coordinamento nazionale No Triv.
Il professor Enzo Di Salvatore è uno dei fondatori del Movimento No Triv. Insegna Diritto costituzionale all’università di Teramo. Ha 45 anni e ormai da diversi anni segue il tema dell’energia e delle trivellazioni nel nostro Paese. La partecipazione a convegni e attività sul territorio lo ha portato a visitare diversi luoghi e, ci racconta, “decisiva per me credo sia stata la visita in Basilicata”.
“Ho avuto occasione di visitare il Centro Oli di Viggiano, un impianto dell’Eni, e di parlare con le persone che vivono a pochi metri dal centro. Che hanno dovuto abbandonare le loro attività andarsene. A causa del forte odore nauseabondo che fuoriesce dal centro, del rumore fisso che costringe a vivere con le finestre chiuse. E lì feci una promessa a tre signore. Mi dissero: ‘Ci aiuti’. Io glielo promisi e da allora sto portando avanti questa battaglia”.
Come nasce il Coordinamento nazionale No Triv?
“Non nasce ora ma nel 2012 perché in occasione di un convegno la cosa che constatai è che i comitati erano moltissimi a livello locale ma non erano coordinati tra loro. La prima cosa che facemmo fu di scrivere una lettera ai senatori perché in quel momento il decreto sviluppo del governo Monti con cui si sbloccavano tutte le attività petrolifere di estrazione di gas e petrolio era al Senato. Il decreto fu poi approvato”.
Le sembra che ci sia una consapevolezza diffusa su questi temi?
“Non completamente. C’è sicuramente una mobilitazione da parte di tantissimi comitati che in queste ore si stanno attivando. Credo che stia partendo la macchina organizzativa. Il problema è che abbiamo tempi strettissimi. Mai nella storia della Repubblica si è votato il 17 aprile e su un giorno soltanto. Questo mix rende tutto più difficile. Ed è un precedente molto discutibile”.
Una critica che vi viene fatta è che si tratta di una materia troppo tecnica per essere affrontata con un referendum.
“Non sono d’accordo perché credo che i cittadini abbiamo il diritto di potersi esprimere su tutto. E poi qui è in gioco la politica energetica, la politica economica del nostro Paese. I cittadini non sono solo quelli che stanno davanti alla tv e scelgono la canzone preferita! Credo invece che su questi temi occorra poter dire la propria e soprattutto poterne discutere, perché non sia tutto relegato soltanto a convegni di nicchia come se non fosse affare dei cittadini il futuro energetico di questo Paese”.
Uno dei timori è quello legato alle possibili ricadute negative sull’occupazione se vincesse il Sì.
“In realtà bisogna chiarire una cosa: quel quesito su cui si andrà a votare è frutto di una manipolazione dovuta a un emendamento del governo. Nel pacchetto referendario non era scritto in quei termini. Il problema qual è? Il governo avendo stabilito che le attività petrolifere non abbiano più scadenza alcuna ha posto diversi problemi. È chiaro che votando Sì noi andremo a dire che invece debbano andare a scadenza naturale. Ma il voto del Sì non incide sull’occupazione. Incide invece sulla durata delle attività. Quindi si porrà certamente un problema occupazionale ma non si porrà il 18 aprile. Si porrà progressivamente nell’arco di vent’anni”.
Quindi?
“Quindi il problema andrà posto progressivamente e noi ce lo poniamo. Di qui l’invito al governo ad aprire un tavolo con le forze sociali, con le imprese, con le grandi multinazionali, con chiunque sia interessato, perché dobbiamo discutere di come reimpiegare questi lavoratori in altri tipi di attività. Se davvero si ha a cuore il futuro dei lavoratori. Dopodiché aggiungo un’altra cosa…”.
Prego…
“Non si pensi che basti nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere quello che accadrà. Perché la norma approvata dal governo è quasi certamente una norma illegittima. Allungando le concessioni senza alcune scadenza questo viola le norme sulla libera concorrenza che l’Unione europea ha posto. E in particolare una direttiva del 1994 proprio relativa alle concessioni. Questo potrebbe comportare l’apertura di una procedura di infrazione da parte di Bruxelles. E, sul piano interno, se quella norma dovesse arrivare alla Corte costituzionale, questa potrebbe dichiararne l’illegittimità. Se la norma viene abrogata il 17 aprile noi avremo davanti tutto il tempo necessario per poter porre rimedio anche alla questione occupazionale. Occorre intervenire ora”.
Ma perché parlate di questo referendum in termini di scommessa sul futuro?
“Ma certo, in gioco c’è tutta la strategia energetica nazionale in cui si parla anche di rinnovabili ma se si va a leggere con attenzione si vede che si disegna un futuro energetico per il nostro Paese non contemporaneo, vecchio, antistorico”.
Si spieghi meglio.
“Si sostiene che cinque aree del nostro Paese debbano diventare distretti minerari. Quindi petrolizzarsi. Per esempio l’Abruzzo è indicato come polo logistico. Posso anche capirne le ragioni ma secondo me non sono strategiche. Sono ragioni che nel breve periodo può sembrare che risolvano dei problemi ma che alla lunga non pagheranno. In questi anni si è intervenuti a colpi di decreti legge, il che dimostra che si è interventi con misure spot senza una vera e propria strategia di lungo periodo”.
Perché la vittoria del Sì darebbe una svolta positiva?
“Anzitutto la campagna referendaria consente di discutere attorno a questi temi, forse per la prima volta. E poi se dove vincere il Sì dal giorno dopo si potrebbe sedersi attorno a un tavolo e immaginare il futuro energetico del Paese. E i cittadini devono poter dire la loro. Quello che manca è la politica su questi temi. La politica deve avere progetti di lungo periodo: solo così si può impostare il futuro energetico, industriale ambientale di un Paese. Non prolungando le concessioni senza scadenza per rimandare il problema”.
Il quorum sembra il vero ostacolo…
“Io credo che gli italiani siano per il Sì. Lo dicono anche alcuni sondaggi. Il problema è che bisognerebbe che gli italiani sapessero che c’è un referendum il 17 aprile. Non c’è informazione da parte dei mass media e poi il tempo è pochissimo. Non basta arrivare sui social, bisogna arrivare a tutti. Far capire che non si parla solo del mare, che va preservato, ma che c’è in gioco il futuro del Paese”.