Giulio Regeni è stato arrestato e torturato dalle forze di sicurezza egiziane? C’è più di un sospetto su questo, dato che al Cairo gli arresti illegali e le sparizioni sono all’ordine del giorno.
Sono centinaia i desaparecidos in Egitto, ha scritto il New York Times in un articolo pubblicato lo scorso 26 gennaio. Il giornale parla di una vera e propria tattica del regime del presidente Abdel Fattah El Sisi contro gli oppositori. Il presidente ex militare ha riempito le carceri di attivisti: sia islamisti, sia laici. Ma non tutte le persone arrestate finiscono nei commissariati o nelle prigioni ufficiali.
Ci sarebbe in Egitto – scrive il New York Times – una rete di centri di detenzione segreti dove le persone vengono detenute senza che nessuno sappia dove sono, senza la formalizzazione delle accuse e senza il diritto all’assistenza di un avvocato.
Qui vengono interrogati e spesso torturati: appesi per le braccia o per i piedi, scosse elettriche, isolati in piccoli spazi. Molti vengono costretti ad aprire le proprie pagine Facebook e a indicare chi conoscono.
Alcuni vengono rilasciati qualche mese dopo, altri non si trovano più, altri ricompaiono cadaveri sul ciglio di qualche strada. La situazione è peggiore che sotto il regime di Mubarak, quando gli avvocati in genere riuscivano a localizzare i detenuti nel giro di 24 ore e a far loro visita entro 15 giorni.
La Commissione egiziana per i diritti e le libertà ha documentato 340 casi di sparizioni da agosto a novembre 2015, undici delle quali riguardanti minori. In media, tre desaparecidos al giorno. L’Onu la scorsa estate ha chiesto al governo di Al Sisi di dare notizie su 66 casi. Fra questi, membri della fratellanza musulmana, attivisti per i diritti umani, giornalisti e anche semplici cittadini, caduti non si sa come nella rete repressiva della polizia e dei servizi segreti.
“L’obiettivo sembra quello di terrorizzare la popolazione, in modo che chi critica il governo abbia paura di sparire”, ha detto al New York Times Mohamed Elmissiry, ricercatore per Amnesty International. Amnesty ha documentato diversi casi di torture, compreso quello di un quattordicenne egiziano stuprato dai poliziotti con un bastone di legno e sottoposto a scosse elettriche.
Anche diversi canali televisivi egiziani hanno dato spazio a parenti di persone scomparse che invocavano notizie dei loro cari. E i giornalisti hanno cominciato a parlare di questi casi. Gli attivisti per i diritti umani dicono che il numero di questi casi è cresciuto quando il generale Magdi Abdel-Ghaffar, un veterano dei servizi di sicurezza egiziani, è diventato ministro dell’Interno lo scorso marzo.
Per mesi il ministero dell’Interno ha negato che ci fossero casi di sparizioni in Egitto. Poi alll’inizio di gennaio ha ammesso l’esistenza di 101 casi. Due settimane fa le stesse autorità hanno alzato il numero a 130 casi.
Gli attivisti che indagano hanno paura di sparire anche loro. Il 10 gennaio per esempio la Commissione egiziana per i diritti e le libertà ha denunciato che agenti in borghese hanno tentato di portare via uno dei suoi dirigenti, Ahmed Abdullah, anche se l’uomo non è accusato di alcun reato.
Anche Human Rights Watch ha denunciato le sparizioni in Egitto parlando di crimini contro l’umanità. E a chiesto all’Europa e agli Stati Uniti di interrompere ogni cooperazione con le forze di sicurezza egiziane finché non avranno spiegazioni su questi casi.