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Egitto, la crisi del turismo

2,2 miliardi di lire egiziane, circa 283 milioni di dollari di perdite al mese dallo scorso novembre. I dati comunicati dal Ministro del turismo egiziano Hisham Zazou all’emittente Al-Arabiya non lasciano spazio a dubbi.

Il turismo egiziano sta vivendo la sua crisi più grave della storia dopo che il 30 novembre un aereo di linea russa decollato da Sharm el Sheikh è esploso in volo provocando la morte di tutte le persone a bordo, 224 tra passeggeri e equipaggio. Lo Stato Islamico nella penisola del Sinai ha rivendicato l’attentato e gli investigatori russi e occidentali sostengono che a provocare l’esplosione del velivolo sia stata una bomba a bordo.

A dare l’ultimo colpo sono stati altri due attacchi negli ultimi 15 giorni. Il primo a un autobus di turisti israeliano alle piramidi di Giza e il secondo a Hurgada quando tre turisti europei sono stati aggrediti a colpi di coltello terroristi dell’ISIS. Ancora una volta il turismo è in difficoltà, Russia e Gran Bretagna mantengono il divieto per i voli verso l’Egitto e i flebili segni di ripresa che c’erano stati nei primi 10 mesi del 2015 sono stati completamente annullati dai recenti incidenti.

Il turismo che nel 2010 con 14 milioni di visitatori aveva raggiunto un picco andando a rappresentare il 13 per cento del prodotto interno lordo entra in profonda crisi con la rivoluzione di piazza Tahrir nel 2011. Da allora la ripresa non è mai arrivata, nel 2013 con il colpo di stato e lo sgombero nell’agosto dello stesso anno del sit in dei Fratelli Musulmani di Rabaa el-Adaweya contro la deposizione del presidente islamista Morsi molti resort del Mar Rosso chiudono sospendo le loro attività per la prima volta. L’arrivo di Sisi, la lotta al terrorismo che ha comportato una repressione per i diritti umani senza precedenti sembravano rassicurare l’occidente.

Secondo la banca centrale egiziana le entrate erano tornate a 7 miliardi di dollari nell’anno fiscale terminato il 30 giugno 2015, segnando un aumento di due milioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il ministro Zazou ha dichiarato alla stampa di essere fiducioso ma la situazione nel Paese resta volatile.

Nella penisola del Sinai, nel povero e abbandonato nord, a poche decine di chilometri dal confine con Israele i movimenti jihadisti si sono rafforzati e – come avvenuto già sotto il regime di Mubarak – dopo attacchi giornalieri contro le forze di sicurezza hanno iniziato a colpire anche il turismo. Il governo del Cairo, trincerato in un apparente compiutezza della transizione democratica – ora più che mai con l’insediamento del nuovo parlamento – continua a negare che l’aereo russo sia esploso a causa di una bomba. Inoltre, la fallimentare politica della sicurezza e i nuovi attacchi della Provincia del Sinai, il gruppo che ha giurato fedeltà al califfo Al-Baghdadi nell’autunno del 2014, aumentano la sfiducia tra i turisti. Anche in Russia che con 4 milioni di turisti rappresenta la componente più forte del traffico turistico nei resort del Mar Rosso.

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    Laura Cappon
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    Il femminicida non è un malato, ma un figlio sano del patriarcato, cresciuto in una cultura che considera la donna un essere inferiore. Da proteggere, sminuire, controllare, e nei casi più estremi, da picchiare o uccidere. In Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa, spesso per mano di chi dovrebbe amarla. E oltre agli omicidi, un sommerso di violenze – dal catcalling alla violenza psicologica – pesa sulle donne, mentre la società si interroga troppo poco sulle sue responsabilità. Da questa riflessione nasce il progetto ideato dal Teatro Carcano, scritto da otto autori uomini e interpretato da Alessio Boni e Omar Pedrini, un viaggio nella mente del carnefice per analizzare il retaggio culturale che alimenta la violenza di genere. Inaugurato il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, lo spettacolo è un atto di autocoscienza collettiva che punta a smantellare le radici patriarcali della nostra cultura. Ospite a Cult, Alessio Boni ne ha parlato con Ira Rubini.

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